Sono il papà di Francesca, post-matura con la derivante manifestazione di ritardo psichico. Quando è nata ho provato un’emozione e una tenerezza indicibili pur consapevole delle difficoltà che avrei dovuto affrontare in un futuro non certo agevole.
Ero infuriato contro i medici che non erano intervenuti in tempo, inspiegabilmente increduli che il termine fosse scaduto. Sin da allora sono alla ricerca persistente di nuove risorse, di un nome illustre, di un’autorità, di un’équipe di rilievo nel campo medico, sottoponendo Francesca a esami e visite, rivolgendomi ovunque e a chiunque secondo le informazioni percepite e partecipando a congressi per trovare un’indicazione.
Io, medico tradizionale, ho frequentato corsi di omeopatia ed agopuntura per trovare nuove strade non tralasciando nulla intentato. Ininterrottamente proteso ad accogliere suggerimenti e nuove proposte ho tra le altre, per lungo tempo, praticato ipnosi e pranoterapia oltre ai metodi consigliatimi sia da Delacato che da Doman di Philadelphia.
Per la mia professione viaggio di frequente ma ad ogni ritorno mi prendo cura di Francesca interessandomi di persona a tutto e quando sono fuori, telefono più volte al giorno per farle sentire sempre la mia presenza. Gioco con lei in infiniti modi; posso farlo, ad esempio, con le carte: la invito a prenderne una specifica e, dopo breve o lunga incertezza, ma più spesso con prontezza, me la porge e così fino alla fine del mazzo. Io, comprensivo a tutte le situazioni quotidiane a seconda delle circostanze.
Piccoli fatti concatenanti: così in macchina le do l’opportunità di mettere in moto, di inserire le marce, di usare il tasto appropriato per alzare o abbassare il cristallo di un tale sportello; in breve tutte quelle cose che può fare salvaguardando l’incolumità propria ed altrui.
Nella vita di tutti i giorni, di ora in ora, si ripropongono tanti modi di procedere, espedienti affatto programmati; ogni occasione è buona per spronare tutte le sue facoltà, le sue attitudini. Le assegno diverse mansioni e noto che a lei procura piacere sentirsi considerata.
Quando siamo insieme, sono proteso ad osservare il suo comportamento, mentre previene, estremamente irritato per le sue eventuali esitazioni, attendo che, con la carta giusta in mano, mi sorrida soddisfatta, contenta del mio «brava» e del mio applauso. La mia finalità è di sviluppare un buon esito. Il mio intento è di proseguire in questa direzione pure con mezzi che forse sembrano futili, banali, irrilevanti. Voglio perseverare senza arrendermi, non mi do per vinto per mio principio e carattere, ma specialmente per l’amore che nutro nei confronti di Francesca: un legame affettivo che assume valori sempre più alti e importanti.
E vado avanti creando il più possibile uno spazio in cui lei possa sentirsi protagonista, provocando rapporti diretti e immediati nell’avvicendarsi di attenta e compunta ogni mia necessità, consegnandomi, per esempio, quando vede che devo scrivere, la penna e gli occhiali o qualunque altra cosa che in quell’istante reputa utile.
Traggo profitto della sua premura per darle delle incombenze, scruto ogni elemento che manifesti le sue idoneità per poi valutarle e analizzarle.
E dialogo con lei, attendo le sue risposte e se non le ottengo, le espongo io per favorirla e rassicurarla.
Premetto che non sono sempre tanto indulgente ma desidero dimostrarle continuamente il mio attaccamento. Con mia moglie ci comunichiamo ogni sensazione, ogni dettaglio; ci consultiamo, viviamo il successo e l’insuccesso.
Ritengo indispensabile l’unione di lavoro, di responsabilità, di cooperazione; procedendo per mano si allevia questo impegno soprattutto quello della mamma che è senz’altro più gravoso e costante.
Insieme ci proponiamo di dare a Francesca quanto più è possibile senza limiti e lei, con la sua sensibilità inimmaginabile, ci offre ogni attimo qualcosa di più, di speciale, di toccante: il regalo di una parola nuova, un atto imprevedibile di furbizia, un cenno di maturità, una maggiore disinvoltura e scioltezza nell’incedere che per noi è tutto un raggiungimento: quegli occhi che parlano più delle sue labbra sanno carpire immense sensazioni di appagamento.
Scoprire la sua grande emotività, la sua bontà d’animo, la sua innocenza mi rende timoroso di ferirla o di confonderla con una mia disattenzione o insofferenza: ho paura di provocare in lei effetti negativi. E’ così indifesa che bramerei avere la possibilità di proteggerla in tutta la sua vita.
È un ruolo, il mio, delicato e fragile che mi aggrega alla mamma non per sostituirla ma per accompagnarla nel succedersi di eventi perché è di tutti e due il compito volto solo a conseguire un obiettivo estremamente essenziale quale il recupero, il progresso graduale e incessante per garantirle un domani migliore.
Potrei parlare all’infinito narrando i tanti episodi commoventi, le tante sconfitte demoralizzanti e gli scoramenti alternati a spiragli ottimistici sempre concentrati in Francesca. Ma concludo con una sola parola che mi accompagna e non mi abbandona mai: «la speranza».
– Antonio , 1987
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.20, 1987
Sommario
Editoriale
Basta poco per non farci sentire soli di Mariangela Bertolini
Dossier: Il ruolo del padre
Sono il papà di Francesca... di Antonio
Il padre assente di E. C.
Con suo padre di Redazione
Umili gesti che sono tutta una vita di Anna Cece
Quanti sanno...? di Paolo Bertolini
Atteso a braccia aperte: domande al medico M.O. Réthoré
Altri articoli
Il Chicco — (casa-famiglia dell'Arche) di Anna Cece
Che cosa è l'Arche
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
Handicap e comunità cristiana di Renato Rondini
A nome di tutti i miei di Jean-Pierre Goetghebeur