“Abbiamo sempre fatto tutto da soli, io e mia moglie; non ci ha mai aiutato nessuno, non ci siamo mai arresi e ne abbiamo passate tante; non abbiamo mai scritto né parlato di questo con nessuno perché non ci serve la pietà e la curiosità della gente.”
Ne abbiamo passate tante
Giorni fa ci è giunta la vostra lettera e oggi la vostra rivista. Siamo i genitori di Consuelo, una bambina Down che ha quattro anni. Tempo fa, Maria Teresa di Macerata ci fece vedere Ombre e Luci e ci chiese se eravamo contenti che fosse arrivata anche a noi.
Consuelo è l’unica figlia che abbiamo. Non sto a raccontarvi quante difficoltà abbiamo incontrato, sia finanziarie, sia morali. Operata piccolissima al cuore; iniziata a sei mesi la terapia riabilitativa, andavamo tutti i giorni al S. Stefano di Fabriano a 25 km da Matelica, senza l’aiuto di nessuno. Alla USL ci dissero che Consuelo era troppo piccola per essere aiutata. Andiamo due volte all’anno al centro Piccoli Mongoloidi di Genova per le consultazioni e per i nuovi programmi. Abbiamo sempre fatto tutto da soli, io e mia moglie; non ci ha mai aiutato nessuno, non ci siamo mai arresi e ne abbiamo passate tante; non abbiamo mai scritto né parlato di questo con nessuno perché non ci serve la pietà e la curiosità della gente. Perché quando ti capita un handicap in casa, è come se in casa fosse nato un mostro; vengono solo per vedere che aspetto ha. Un giorno è venuto in visita un parente che non aveva mai visto Consuelo e, dopo averla vista, ci disse: « Mi sembrava peggio ». Come se si aspettasse di vedere un mostriciattolo. Le persone sono tutte false e ipocrite; se sei tu ad avere il male in casa ti dicono: « Che vuoi farci, è la vita! ecc. ». Quando capita che in casa loro hanno un banale malessere, a sentir loro sembra che gli sia capitata una disgrazia, che la loro è una vita difficile e piena di problemi.
Fin da ragazzo, in casa mi è stato insegnato il rispetto per il prossimo, qualunque esso sia. (…) Non ho mai compianto né disprezzato alcuno. Uno dei miei fratelli faceva parte dell’UNITALSI e quando andava a trovare gli ammalati, mi portava con lui. E ora, a distanza di tanti anni, mi hanno ritrovato, quando un giorno sono venuti a prenderci a casa, a noi e a Consuelo per portarci (quelli dell’Unitalsi) con loro ad una festa e noi non ne sapevamo nulla. Questo ci fece molto contenti. Penso che fu quella volta che ci aprimmo un po’ di più, perché dopo la nascita di Consuelo, ci chiudemmo in noi, con i nostri problemi, perché sembrava che ci fosse crollato il mondo addosso.
Ma ora è diverso; ora Consuelo ha quattro anni, è la bambina più bella e più buona del mondo. Ancora non parla bene, comincia ora qualche parola. L’altro giorno è venuta a casa una persona e Consuelo è corsa subito a prendere una sedia per far sedere questa persona senza che nessuno le avesse detto niente. Siamo rimasti tutti sorpresi di questa sua attenzione.
Giorni fa, al programma su RaiDue, alla trasmissione Piccoli Fans, c’era una bambina Down che ha letto qualcosa; non immaginate cosa abbiamo provato: gioia, felicità, non so, nel sentire, nel vedere quella bambina lì in televisione, vista da molte persone. Ci vorrebbero più spesso queste apparizioni in TV. Non per metterli in mostra, ma ospiti, come tutti gli altri. C’era anche una bambina cieca che cantava; è stato bellissimo. La gente deve sapere che i bambini handicappati, dentro, sono vivi, sono pieni, pieni di gioia, di amore, di affetto. Oggi tanti bambini non hanno tutto questo; ci sono molti bambini che sono vuoti, non sanno giocare.
L’altro giorno mia moglie è andata a riprendere Consuelo all’asilo e la maestra le ha detto: «Signora, sua figlia è una delle poche che, prima di andare via, saluta e dà un bacio ». Non immaginate quanto fa piacere sentire queste cose. Ciò vuol dire che il lavoro che facciamo per nostra figlia serve a qualcosa.
Marcello Di Virgilio
Questa lettera merita di essere letta e meditata. Speriamo che qualche amico la faccia conoscere intorno a sé, nelle scuole, al catechismo… Speriamo anche che qualche papà o mamma di bambino Down si metta in contatto con questi genitori per incoraggiarli a tener duro, per farli sentire attorniati da quella fratellanza che Ombre e Luci vorrebbe allargare sempre di più.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.18, 1986
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