Nella periferia di Ciampino, in una zona silenziosa, abbastanza verde e con tante casette basse, si respira da qualche anno un’aria diversa. C’è infatti, tra le altre, una bella casetta bianca, col tetto spiovente e intorno un prato, con qualche fiore, un pollaio, un orto seminato di… palloni, biciclette, scivolo… Sulla porta d’ingresso una maiolica con su dipinto «Il Chicco». Entrando si viene subito contagiati da un clima di accoglienza, di semplicità, di serenità. C’è l’allegria e il «trambusto» tipico di una famiglia con tanti bambini: ceste di giocattoli, libri illustrati, alle pareti ingrandimenti di foto «di famiglia»; un angolo per la musica ben attrezzato (c’è anche un sassofono di plastica e una minuscola chitarrina) e, intorno al camino che «scalda» ancor più l’atmosfera, tanti comodi posti a sedere per gli amici.
Chi ci abita, dal 1982, è una famiglia particolare: i «padroni di casa» sono cinque bambini, tutti con seri problemi a livello fisico, psichico e del comportamento (a causa dei quali erano stati abbandonati nel brefotrofio). Ora sono ben contenti di vivere qui con sei «assistenti» stabili, altri tre (di cui uno esterno) che lavorano nel nuovo «laboratorio», il Nido, e tanti amici ancora, tra cui i vicini. Gli amici vengono invitati per condividere momenti di festa (quanti compleanni!), di preghiera (incontri mensili di approfondimento di un tema scelto anno per anno), di celebrazione (che belle le veglie di Natale e di Pasqua passate insieme!), o semplicemente di scambio, di amicizia, e, perché no, di lavoro. E già, di lavoro ce n’è proprio tanto: le pulizie di casa, il giardino (ma quanto cresce velocemente l’erba!), l’orto, le galline e le colombe, i bucati (due lavatrici si affannano nell’arduo tentativo di tener testa a tutti i panni da lavare), per non parlare del ferro da stiro che conosce solo rari momenti di riposo. Come in una famiglia, ma una famiglia bella grande! Ma veniamo al cuore della casa: i bambini.
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Fabio e Maria sono quelli che, quando avevano rispettivamente 7 e 4 anni, fecero nascere il Chicco, insieme a due assistenti, con l’intento di formare poco a poco una piccola comunità, dove l’accoglienza reciproca potesse essere un cammino di crescita per ciascuno. Un piccolo «campo» dove ognuno ha seminato qualcosa. E’ così che il Chicco è diventato presto la prima comunità in Italia dell’Arche di Jean Vanier (che comprende altre 80 comunità con persone handicappate mentali adulte e/o bambini nei 5 continenti).
Quando arrivò, Fabio era un bambino che portava in sé oltre che problemi fisici, soprattutto disturbi del comportamento che lo portavano spesso a isolarsi in «giochi» ripetitivi e stereotipati che gli impedivano di entrare in relazione con gli altri e di partecipare all’ambiente circostante. Non parlava e esprimeva con seri «capricci» il suo disappunto quando qualcuno cercava di sottrarlo ai suoi giochi-rifugio. Ora sta diventando un piccolo «uomo» (ha quasi 14 anni) e piano piano si è aperto, ha acquistato fiducia in se stesso, ha imparato ad essere partecipe e a collaborare alla vita della casa: è diventato molto attento agli altri, soprattutto verso i più deboli. Ha imparato ad esprimersi, un po’ a parole, un po’ in altri modi, comunque così chiari e inequivocabili che ormai non si può più far finta di non capire quando si impunta ancora su qualche «capriccio». La sua passione sono gli animali e ormai il pollaio è di sua competenza (le galline, però, hanno faticato un po’ ad insegnargli le buone maniere!). La sera aiuta qualcuno a sciacquare i piatti… e non solo quelli! E’ molto bello vedere la sua gioia nell’incontrare un amico e nell’accoglierlo a casa, testimoniando così che ora è un ragazzo più sereno e aperto alla crescita.
Maria, anche lei ormai grandicella, ora non disdegna la compagnia. All’inizio rifiutava qualunque vicinanza con alte grida, spesso anche di notte (non si dormiva molto in quel periodo!) e sembrava completamente assente, rinchiusa in un suo mondo misterioso e impenetrabile. Ora sa essere a volte dolce, sorridente di fronte ai suoi amici. Sta imparando che una relazione è possibile e sa superare meglio i momenti difficili di angoscia che ancora oggi vive e che esprime con un linguaggio di «grida» e, a volte, di aggressività.
Anche Maria ha trovato il suo servizio: aiuta a sparecchiare la tavola, nella speranza di potersi procurare magari un supplemento di torta. Piano piano sta acquistando fiducia in chi le sta vicino e a volte permette di entrare in punta di piedi nel suo mondo misterioso e nel suo linguaggio senza parole.
Negli anni successivi sono arrivati altri tre bambini: Paolo, un piccolo di quasi 8 anni con sindrome di Down, ha conquistato tutti con la sua simpatia. Non stava fermo un minuto e ha dimostrato subito di essere un vero campione nel… lancio di minestra sui muri!
In seguito, poco alla volta, ci ha fatto capire che sa fare cose migliori man mano che la sua angoscia e irrequietezza diminuiscono: sa giocare con gli altri, comunica entusiasmo ed è molto capace di tenerezza. Con la sua piccola chitarra e il suo sassofono sa riunire attorno a sé tutti gli amici e si rivela un perfetto ospite preparando per loro una scenetta del «teatrino», da umorista nato. Diffonde attorno a sé gioia e sorriso (nonché un po’ di fiatone in chi cerca di stare dietro al suo ritmo) e si fa perdonare volentieri qualche bicchiere rotto nello svolgimento del servizio che sta imparando a fare: aiutare ad apparecchiare la tavola.
Lucia, così piccola e fragile, anche lei tra poco compirà 8 anni. Colpita da gravi problemi fisici e mentali che la costringevano tutto il giorno in una posizione supina e ad enormi difficoltà nel mangiare e nell’essere cambiata, si è piano piano «svegliata»alla vita: ha scoperto quanto era bello guardare il mondo ad un certo momento anche da seduta (riducendo così, tra l’altro, le sue difficoltà respiratorie) e si è accorta di tutto ciò che la circonda e che la attrae. Poi ha iniziato a muoversi, a stare a volte in piedi, incredibilmente, meravigliando tutti. La sua insistenza nel «chiedere», il suo desiderio di crescere, ha fatto capire al Chicco la strada da seguire: la creazione di un piccolo «laboratorio» dove, con l’aiuto di un’equipe medica e di assistenti, interni ed esterni, potesse essere sottoposta ad esercizi adatti a lei. E’ nato così il Nido, un’altra casetta bianca, prefabbricata, proprio accanto al Chicco. Così il Chicco è il «luogo di vita» per tutti e il Nido è il «luogo di lavoro» (lo possiamo chiamare «laboratorio di risveglio») dove bambini gravemente handicappati svolgono attività volte a sviluppare le loro potenzialità e a stimolare miglioramenti. Perché altri bambini come Lucia potessero giovarsi di questa iniziativa, è stato accolto quest’anno Armando, un bimbo di 6 anni, con difficoltà anche più gravi di quelle di Lucia. I suoi grandi occhi e il suo sorriso sono un incoraggiamento ad avere fiducia in lui e ad intraprendere il cammino. E infatti c’è di più: da quest’anno il «Nido» sarà aperto anche a bambini esterni che, durante il giorno, potranno svolgere i loro esercizi e le loro attività con persone competenti e professionisti. Chi ha conosciuto i bambini al loro arrivo, vedendoli ora, forse può immaginare quanto sia stato impegnativo e lungo il cammino fatto al Chicco in questi anni: la nuova armonia familiare, l’affetto, ma anche piani educativi e terapeutici personalizzati, hanno stimolato nei bambini capacità inimmaginabili, risvegliando in loro gioia di vivere, serenità, fiducia, e una continua «crescita».
Sono questi i frutti che questo chicco, crescendo nella semplicità e nell’umiltà, sta portando. E non solo. Infatti nelle comunità dell’Arche non si capisce bene chi è l’«assistente» e chi «assistito»: se da un lato i bambini accolti, gravemente handicappati, hanno bisogno di essere accompagnati in tutto, dall’altro gli assistenti toccano in questo quotidiano quei valori che oggi non esistono più. I più «piccoli» riportano a scoprire le piccole cose di ogni giorno: l’importanza di prendere del tempo durante i pasti, la semplicità di ritrovarsi a lavare i piatti insieme agli «ospiti» ; il vero significato dell’accoglienza; l’esigenza della crescita; il rispetto dei propri limiti; la gioia nella scoperta dei «doni» di ciascuno; la possibilità di vivere insieme e ogni sera dire «grazie Gesù per la vita che mi hai dato».
I vicini, anche loro, sono diventati partecipi della vita del Chicco, realizzando una relazione di scambio e sostegno reciproci, tanto importante perché una comunità dell’Arche sia ben inserita nell’ambiente in cui vive, famiglia tra le famiglie.
Ora, chissà, forse il Chicco crescerà ancora e magari, con l’aiuto di tutti, le case diventeranno due… E’ il nostro augurio !
– Anna Cece, 1987
Leggi anche: Che cosa è l’Arche?
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.20, 1987
Sommario
Editoriale
Basta poco per non farci sentire soli di Mariangela Bertolini
Dossier: Il ruolo del padre
Sono il papà di Francesca... di Antonio
Il padre assente di E. C.
Con suo padre di Redazione
Umili gesti che sono tutta una vita di Anna Cece
Quanti sanno...? di Paolo Bertolini
Atteso a braccia aperte: domande al medico M.O. Réthoré
Altri articoli
Il Chicco — (casa-famiglia dell'Arche) di Anna Cece
Che cosa è l'Arche
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
Handicap e comunità cristiana di Renato Rondini
A nome di tutti i miei di Jean-Pierre Goetghebeur