Aimé Duval (Lucien) è «cantautore, gesuita e alcolizzato». Un’infanzia felice, dei genitori che lo amano teneramente. Consuma i suoi zoccoli sui ciottoli della lunga strada che porta a scuola. Sua compagna di cammino: la luna, che corre quando lui corre e si ferma quando lui si ferma.
Nasce poi la vocazione che è contento di realizzare nel ’36, come gesuita. Compone le sue prime canzoni, inizia i primi concerti nel ’54, incide il primo disco: un grande successo.
Il «Chitarrista di Dio», è autore di una nuova canzone popolare religiosa, ispirata all’amore cristiano, alla necessità di creare un mondo diverso per rendere le persone felici. In dieci anni quaranta nazioni lo accolgono nei loro più grandi teatri per ascoltare il suo canto di speranza.
Ma agli inizi degli anni ’70 Padre Duval scompare dalla scena. Durante il successo è precipitato nell’alcolismo.
Nel libro confessa la sua dipendenza e poi la sua risalita. E’ lungo il viaggio alla ricerca delle cause che lo avevano condotto a bere: la sua estrema sensibilità, che lo rendeva indifeso di fronte alla cattiveria, alla disonestà e alla stupidità e che lasciavano un segno indelebile dentro di lui. E poi lo stress e l’atteggiamento di alcuni suoi confratelli che non avevano capito niente del suo apostolato con la canzone. «Ero sensibilissimo alle critiche ingiuste. La cattiveria e la disonestà esistevano attorno a me e né mio padre né mia madre mi avevano preparato a superarle».
Arrivato al fondo, riesce a guarire grazie, soprattutto, agli Alcolisti Anonimi, il cui semplice metodo parte da un atto di umiltà e di coraggio che smaschera anche le cose più degradanti: «Mi chiamo Lucien e sono alcolizzato». L’atteggiamento del gruppo è di silenzio, pazienza, amicizia serena. Chi ha vissuto sa, e non giudica. Attraverso le tappe successive si va dalla riconciliazione con le persone offese, fino al recupero dell’amore per se stessi, distrutto dall’alcool.
«Gli alcolizzati hanno una tale brama di venirne fuori che si aggrappano ad ogni speranza a portata di mano. Il metodo degli A.A. è tutto qui. Non ricorre alla ragione. Si appoggia all’istinto vitale. Misterioso».
Aimé Duval ha scritto questo libro per gli alcolizzati, per suggerire loro la strada per uscirne fuori. E l’ha scritto per tutti, perché capiamo che l’alcolismo è una malattia, «una malattia dell’anima» e non un vizio. E a tutti dice:
«L’alcool mi ha aiutato a gridare al mondo intero che esiste uno iato tra l’incomprensione, l’orgoglio, la stupidaggine e la dolcezza di un mondo futuro dove l’amore regnerà».
– recensione di A.C. , 1987
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.18, 1986
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