Di fronte a voi un uomo deve dirvi: «Vostra figlia è cieca, sorda, non camminerà…». Siete lì, pieni di angoscia in attesa del verdetto e quell’uomo davanti a voi ne è cosciente. Medico, non sa da che parte cominciare per dirvi la verità. Diventa allora come un elefante in un negozio di porcellane. Cerca di nascondersi dietro a conoscenze che sembra egli stesso mettere in dubbio. Ma non può. Alcuni di loro ne vengono fuori senza far troppi danni. Riescono a farvi capire che non tutto è perduto, riescono a far brillare una sottile speranza. Ma ci sono anche quelli completamente maldestri, quelli che assumono una maschera dura o indifferente, quelli che si spazientiscono…
Senza dubbio soffrono di non trovare le parole giuste, di non essere capaci di essere come vorrebbero. Ne ho incontrati tanti da quando Anna è nata. Uno di loro mi ha detto, proprio nel momento in cui avevo bisogno di un po’ di conforto: «La metta il prima possibile in un istituto e faccia presto un altro figlio!» Un’infermiera della clinica dove ho messo al mondo Anna, è stata lì lì per prendere il telefono in testa perché mi rimproverava di rifiutare la bambina. Parole che anch’io forse avrei detto senza volere, se mi fossi trovata al loro posto.
Conoscere la verità
Anna è rimasta sette settimane in ospedale. Per tutto questo tempo non sono riuscita ad incontrare il medico responsabile del reparto. Dalle infermiere, dalle assistenti, ricevevo in continuazione informazioni più o meno contraddittorie. A tre mesi, ho potuto avere un appuntamento con un oftalmologo. Mi rivedo ancora, lui seduto sulla poltrona del paziente, io appoggiata alla sua scrivania: mi ha solo chiesto: «Lei sa cos’è il braille?» Fu così che appresi che Anna era praticamente cieca! Quando ho dovuto dirlo al suo papà, ai nonni, a tutta la famiglia e vedevo che uno dopo l’altro sprofondavano nel dolore, mi son detta: «Com’è difficile annunciare queste cose!». Quasi nello stesso periodo, molto presto ho cominciato ad essere inquieta constatando come Anna non reagisse ai rumori familiari. Gli esami rivelarono che era anche colpita da sordità severa. Con un apparecchio ha cominciato a seguire degli esercizi di ortofonia: non c’era tempo da perdere.
Essere aiutati e informati
Fare un bilancio completo ha richiesto numerosi consulti e siamo così passati per momenti alternati di angoscia e di speranza. Oltre a questo dovemmo decidere come genitori di assumerci la responsabilità per correggere o meno altri difetti ortopedici all’anca e ai piedini. Il tutto ci ha caricato dieci anni di vita in più. A casa, abbiamo dovuto far conoscenza con questo piccolo esserino che ci trovavamo davanti. Anna, fin dalla nascita, ogni tanto si soffocava perché respirando ingoiava la lingua per un difetto al palato. Sarebbe bastato metterla in culla appoggiata sul ventre perché questo non succedesse, ma non ci avevamo mai pensato. Per questo è stata rianimata diverse volte, con le conseguenze che ne derivano, semplicemente perché non conoscevamo questo semplice gesto. Così pure per il biberon. Cercavo di darglielo senza riuscirci. Andavo a tentoni per ore per cercare di farla succhiare… non mi avevano detto che anche per questo all’ospedale la nutrivano in altro modo.
Medici dal cuore aperto
Per fortuna, ora, certi ospedali hanno capito com’è importante informare sistematicamente i genitori sulle cure da prestare. Ma ancora c’è molto da fare. Senza dubbio, in molte occasioni abbiamo avuto l’impressione di incontrare medici troppo «robot», almeno all’apparenza;
per fortuna ci sono anche dei «buoni» medici dei quali abbiamo un ottimo ricordo. Il dottor R., non mi diceva mai: «La spogli!». Prendeva lui Anna e le toglieva i vestitini poco alla volta. La piccola era sensibile a questo contatto. Lui si era reso conto che Anna godeva al solletico e così la faceva ridere. Per me, quel riso aveva un prezzo speciale. L’accoglienza di questo dottore mi fa molto bene. Nell’attenzione che ha per Anna e per tutto quanto la riguarda (alimentazione, progressi…) si sente il suo profondo interesse: le parla, la guarda, risponde al suo sorriso. I genitori sono commossi da uno sguardo, da un buongiorno, una parola. I medici non sono sempre obbligati a parlare: un viso chiuso o un viso rischiarato da un po’ di speranza, è spesso più eloquente. Noi aspettiamo che il medico ci ascolti, ci guardi, ci riconosca nella nostra sofferenza, ci dia le spiegazioni che può dare e ci dica la sua impotenza. Che sappia soprattutto dare speranza pur fissando dei limiti. Quando esistono associazioni specifiche sono di grande aiuto per i genitori. Vi trovano comprensione, consigli preziosi, indirizzi utili, orientamenti verso specialisti o educatori che possano offrire un piano di educazione appropriata prima che sia troppo tardi. Solo dopo aver fatto tutta questa strada, noi abbiamo ritrovato la speranza di poter dare ad Anna la possibilità di vivere con i suoi mezzi e di utilizzarli. Ma è raro che esistano associazioni per le diverse forme di handicap multipli. Per questo ci sembra molto importante che i medici svolgano il ruolo di consiglieri attenti e pieni di bontà, che siano suscitatori di pazienza, di coraggio, di speranza….
di M. D.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.13, 1986
Sommario
Editoriale
Non vede, non sente, non comunica di Mariangela Bertolini
Dalla disperazione alla speranza di Marie Hélène Mathieu
SCHEDA - Le persone plurihandicappate di Anna Cece
Ora sappiamo che tutto ha un senso di Olga Burrows Gammarelli
Un salsicciotto e tanta acqua di un papà
"Mio Dio com’è duro vivere nella prova" di M.F. Heyndrickx
Il verdetto dei medici di M.D.
Vede, sente e parla attraverso le mani di Nicole Schulthes
Rubriche
Libri
Emiliana e l’handicap di Cosimo Fornaro
Il bambino non vedente pluri-minorato di E. Ceppi e al.
Il mio bambino a cura della John Tracy Clinic
Disabilita e intervento – “Apprendimento controllo degli sfinteri” Quaderni della Lega del Filo d'Oro, a cura di Nisi e al.