Com’è sorta la Casa di Gino e perché si chiama così?
Nacque nel 1946 quando fu mandato qui un religioso guanelliano con sei ragazzi disadattati. C’erano ancora i coloni. Il terreno, 32 ettari, apparteneva a una famiglia benestante che l’aveva comperato per l’unico figlio, Gino, il quale però era morto in uno scontro aereo, durante l’ultima guerra. In suo ricordo i genitori avevano voluto donare il terreno a una congregazione che si dedicasse a giovani abbandonati. I guanelliani, tramite il parroco di Lora, avevano accettato la donazione. I primi ragazzi che vennero qui, erano solo disadattati; impararono a lavorare la terra e si inserirono poi nella vita. Quando qui si fa festa, vengono ancora a trovarci, anzi qualcuno di loro svolge attività tecnico-educativa con gli ospiti attuali.
Chi sono ora gli ospiti della casa?
Nel 1960 abbiamo cominciato ad accogliere ragazzi con handicap lievi o medio-lievi. Dal 1970 ospitiamo ragazzi più gravi e la loro permanenza qui si fa sempre più lunga: 9-10 anni. La casa, infatti, si propone di educare i ragazzi con difficoltà a sviluppare le proprie capacità e la personalità, per poter accedere alla vita sociale, al lavoro fuori. Ma ora ci troviamo di fronte a difficoltà più grandi di prima: qui i ragazzi sono in un ambiente protetto ed è difficile trovare dove inserirli una volta dimessi. La casa è sorta come comunità- alloggio più che casa famiglia.
A suo avviso, che differenza c’è fra casa famiglia e comunità-alloggio ?
In generale, si può dire che la comunità-alloggio è un luogo dove una comunità o un gruppo di persone guida della casa, si dedica a persone con difficoltà e le sostiene secondo un progetto educativo, di passaggio o duraturo. La casa-famiglia è una casa dove una famiglia o una coppia accoglie persone con difficoltà per offrir loro un luogo di vita, una sistemazione per sempre.
Com’è strutturata la Casa di Gino?
L’ambiente è una colonia agricola nella quale vengono inseriti ragazzi in difficoltà per sviluppare le loro capacità e personalità attraverso il lavoro. Si divide in due parti distinte:
gli ambienti di lavoro
- serre, stalle, capannoni (per allevamento di animali, coltura di piante da giardino e da orto…)
- campagna (dove si coltiva mais, patate, verze, fragole, foraggio…)
- un frutteto di 2.000 meli
gli ambienti di vita
- camere per i ragazzi
- sale da pranzo, cucina
- sala per il cinema
- sale per le attività culturali
- piscina
- palestra
- campo sportivo
Dopo il lavoro, i ragazzi hanno attività culturale e tempo libero, ricreativo, in comune o da soli. Non vogliamo costringerli in gruppi come per il lavoro. Così dopo cena, ognuno è libero di organizzarsi la serata come vuole, tranne una volta la settimana in cui proiettiamo un film. Possono ascoltare dischi, uscire in paese, usare la palestra, non far niente, andare a letto… Riteniamo che una persona diventa matura non tanto quando compie bene il lavoro, quanto sa gestirsi da sola il tempo libero.
Che cosa intende per attività culturale?
Da settembre a maggio, dopo il lavoro, i ragazzi hanno tutti i giorni un’ora e mezza di attività con un’insegnante mandata dal Provveditorato aiutata da una trentina di volontari (ragazzi e ragazze) a turni di tre o quattro il giorno. Per esempio, studiano la segnaletica stradale, parlano dei lavori compiuti durante la giornata; per alcuni c’è un vero corso di alfabetizzazione.
Com’è l’orario della giornata?
Levata e colazione.
8.45 – A gruppetti vanno al lavoro; il gruppo più numeroso va in campagna; 4 o 5 vanno alle serre; 2 nell’orto, 5 o 6 dagli animali.
12.00 – Pranzo
Dalle 4 alle 16 di nuovo lavoro (fino alle 18 in estate)
16-17.30 – Attività culturale da settembre a maggio; da maggio a settembre, piscina dopo le 18.
Dopo la cena, tempo libero.
Quanti sono gli ospiti della casa e che difficoltà hanno?
45 giovani insufficienti mentali medio gravi, alcuni con turbe del comportamento; di questi ultimi non possiamo prenderne di più perché devono usare gli arnesi agricoli che possono essere pericolosi per ragazzi del genere. Vengono dalla Lombardia; alcuni anche dal Veneto, dal Piemonte, dall’Emilia Romagna. Sono inviati dalla struttura pubblica; abbiamo molte richieste e pochissime dimissioni. Due soli sono minori, gli altri sono tutti maggiorenni. Vorremmo poterli dimettere quando hanno 25 anni, ma non troviamo posti che garantiscano la continuità di vita e di educazione adatta a loro. Soprattutto dopo la legge 180, abbiamo richieste di ammissione per ragazzi più gravi, ma non ci sentiamo in grado di accoglierli.
Che rapporti avete con le loro famiglie?
Su 45 ragazzi, 25 non rientrano mai in famiglia o perché non ce l’hanno o perché la famiglia è disgregata o perché non è in grado di riprenderli. Alcuni sono qui dal ’72 e non hanno nessuno che si possa prendere cura di loro, anche se a livello lavorativo potrebbero lasciarci. Ci poniamo la domanda se non dobbiamo trasformare la struttura in luogo di vita permanente, proprio per loro…
Degli altri 20, cinque ritornano in casa settimanalmente, gli altri solo per le grandi vacanze. È triste a dirsi, ma per la maggior parte il rientro in casa diventa sempre più difficile. I genitori in generale se ne occupano dal punto di vista economico, ma poco da quello affettivo: per i ragazzi è un grosso peso perché avrebbero molto bisogno dell’affetto dei genitori. Ritengo che metà del recupero venga dall’affetto dei famigliari, non dall’affetto che possiamo dare noi.
E il personale, gli assistenti?
In totale sono 19:
- 6 religiosi guanelliani che sono i veri educatori responsabili della casa. Ogni religioso ha un suo settore di educazione (momenti di vita comune, tempo libero, tempo lavorativo, ecc). Il religioso è educatore e tecnico del lavoro insieme.
- 5 Operai stipendiati, ma anche loro svolgono opera educativa. Tendiamo tutti a non dare ordini, come «Rastrella!» ma piuttosto «Rastrelliamo, invasiamo…» Ciò che serve non è il comando quanto l’esempio.
- 5 Obiettori di coscienza, che prestano qui il servizio civile. Prima di essere assunti, vengono per un periodo di prova e poi sono loro che decidono se restare. Finora ci siamo trovati sempre bene.
- 3 Suore guanelliane che si occupano della cucina e del guardaroba.
- 1 Insegnante
- I volontari
Come siete inseriti nel paese?
La gente del paese viene ad acquistare i nostri prodotti allo spaccio che avrete visto entrando.
Le scuole elementari e medie vengono in visita per conoscere la colonia agricola, gli animali, le serre. II campo di pallone e la piscina sono aperti al paese. Nel tempo libero i ragazzi ospiti possono andare in paese dove vengono invitati nelle famiglie; nelle case. Tutti li conoscono e li accettano così come sono.
.
Quali sono i maggiori problemi e vantaggi che avete in questa colonia agricola?
Abbiamo difficoltà, come ho già detto, nell’inserire i ragazzi, che potrebbero lasciarci, in posti di lavoro esterni.
Difficile anche trovare persone disposte ad assumere un impegno di volontariato stabile. Nella nostra opera ci vuole cuore, cultura, perseveranza. Nell’insieme la comunità aiuta molto i ragazzi a sviluppare le loro capacità: l’agricoltura, l’allevamento, il lavoro nelle serre è molto adatto a loro; qui il ragazzo ha esperienza concreta delle cose, ha contatto profondamente formativo con la realtà della natura: pianta una patata, vede nascere il germoglio, la vede crescere, la raccoglie, la mangia. Vede il ciclo del fiore, dalla semina alla fioritura. Vede la nascita degli animali, li cura, li nutre; ne beve il latte, ne mangia la carne. Il lavoro dei ragazzi è sempre manuale: le macchine non sono adatte per loro, anche se certi strumenti agricoli sono indispensabili.
E per il finanziamento? Ce la fate con i vostri prodotti a mantenervi?
La campagna ci permette principalmente di mangiare bene e in modo sano. Ma abbiamo bisogno delle rette (20.000 al giorno pro-capite) per la manutenzione delle case, per gli stipendi agli operatori.
Qualche osservazione particolare, per concludere?
La prima, che ci assilla è che se vengono meno le vocazioni, i religiosi sono già pochi… Poi tengo a sottolineare che in una comunità come questa è necessaria l’unità dell’equipe educativa: le decisioni vengono sempre prese comunitariamente. E questa unione si riflette su tutto il resto. Infine, per me, predicare il Vangelo è soprattutto testimoniarlo con la vita e l’impegno di ogni giorno.
–Redazione, 1986
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.11, 1985
Sommario
Editoriale
Casa famiglia»: sogno o realtà? di Mariangela Bertolini
Altri articoli
Come sogni il futuro di tuo figlio risposte di diversi genitori
Cascina Nibai - Cooperativa Fraternità di Redazione
Villa Olmo - Sette ragazze e una suora di Nicole Schulthes
Villa Pizzone - Il cancello aperto di Redazione
La Casa di Gino - Una colonia agricola di Redazione
La sfida dell'Arca di Jean Vanier