Ogni mamma e ogni papà vivono con trepidazione e spesso con angoscia il futuro del proprio figliolo handicappato, soprattutto quando i capelli si fanno bianchi.
E’ un problema grosso e non è certo scrivendo un giornalino che si può risolvere. Ne siamo coscienti.
Ci ha spinto a questo passo, proprio il fatto che tutti ci interpellano: i genitori più dinamici e quelli più rassegnati, i più giovani e i più anziani. Vorremmo avere una risposta concreta, pronta, qui sul tavolo: qualche indirizzo, qualche casa, qualche comunità. Purtroppo non c’è quasi niente…
Allora?
Armati di buona volontà, siamo andati a cercare qua e là per l’Italia qualche «modello» da proporvi come esempio, sia per come è sorto, sia per come è strutturato e gestito.
Lo scopo?
Volevamo dare una traccia, una pista da seguire. Nel momento attuale ci pare che solo rimboccandoci le maniche, a piccoli gruppi di genitori, qualcosa possa cominciare. Si tratta di aver fiducia, di lottare — ancora una volta — per preparare i figlioli, per gettare le fondamenta, per trovare la formula giusta e più adatta al proprio figliolo: non tutto è buono per tutti.
Quello che importa e che ci pare giusto ricordare, con discrezione ma anche con forza, è:
-
- non si può aspettare troppo tempo per trovare una soluzione;
- non si può aspettare che lo «Stato» ci pensi; se ci saranno dei progetti validi, delle proposte chiare e ben studiate, forse lo Stato aiuterà…
- non si può immaginare che la soluzione venga trovata dagli altri e per di più gratuitamente. Ogni genitore può e deve mettere la sua pietra perché la casa venga su…
Questo numero di Ombre e Luci vuol essere un primo mattone. Di parole, direte voi. E’ vero, ma sono parole scritte con il cuore, parlano di chi è riuscito a mettere in piedi qualcosa di valido, vogliono dirvi l’affettuosa partecipazione nostra e, speriamo di altri, a una realtà che scotta, che non fa dormire…
Sono parole che vogliono dirvi: coraggio! mettiamoci al lavoro. Ombre e Luci cercherà di dare una mano a chi, con vigore e realismo, vorrà prendere il piccone in mano. L’aiuto potrà essere di consigli, idee, indirizzi di realizzazioni già in atto, diffusione di progetti o di richieste, ecc.
Affidiamo al Signore il nostro sogno comune e chiediamogli di farlo diventare realtà.
–Mariangela Bertolini, 1985
“Una pietra dopo l’altra, alto arriverai”
Qualche pietra (o consiglio)… pensato soprattutto per i genitori di figli con handicap medio-lieve
Bisognerebbe avere una visione realistica e più serena possibile riguardo il “futuro”: sia rispetto alla propria morte, sia rispetto alla sistemazione del figliolo; meglio parlarne che creare un “tabù”; la persona debole nell’intelligenza accoglie meglio la verità che la tensione o la preoccupazione.
Bisognerebbe aiutare il figlio o la figlia handicappata ad assumere con coscienza i propri limiti, parlandone insieme, sdrammatizzandoli e mettendo invece in valore le capacità. Prenderanno via via fiducia in se stessi se sentiranno che si ha fiducia in loro.
Bisognerebbe aiutarli a raggiungere la massima autonomia: toilette, vestirsi, mangiare di tutto (anche per loro, come per gli altri figli, esistono i capricci…), le buone maniere, la cortesia, saper chiedere per piacere, scusa…
Bisognerebbe spronarli a vivere con persone diverse dai famigliari per qualche ora, poi per una giornata, poi per un week-end…; favorire l’amicizia con altri giovani della loro età.
La lista potrebbe continuare: esortiamo i genitori a dialogare con noi in proposito, a dirci quel che ritengono giusto o sbagliato o difficile da mettere in pratica.
La vita comunitaria va preparata presto per facilitare il compito a chi un giorno dovrà sostituire voi.
–Redazione, 1985
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.11, 1985
Sommario
Editoriale
Casa famiglia»: sogno o realtà? di Mariangela Bertolini
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