Come siamo cambiati con Fede e Luce
Stamattina mi sono alzata con una malinconia terribile.
Mi sembrava di avere cento anni e il pensiero dell’oggi da vivere con tutti i problemi che porta con sé mi sembrava uno sforzo insopportabile. Non avevo nemmeno la volontà di preparare mia figlia per andare al centro che frequenta. Tutti gli episodi più strazianti della mia vita mi si alternavano nella mente: stavo letteralmente male.
Quando finalmente mia figlia fu pronta e col padre e la sorella partì per la città, mi concessi un po’ di riposo e di riflessione. Con uno sforzo combattei i pensieri neri col propormi i ricordi più belli e fra tanti mi soffermai sui primi passi che feci in Fede e Luce.
C’era una porta chiusa
Il primo passo, il primo impatto fu preceduto da una specie di trauma perché per noi (mio marito condivideva la mia paura) era uno sforzo molto grande cambiare il nostro tran-tran di tutti i giorni, grigio fin che vuoi, ma pur sempre una situazione di comodo, che non richiedeva altri sforzi da parte nostra. Avevamo già tanti pensieri che non ci riusciva di capire che bene potesse fare partecipare i nostri problemi ad altri e condividere con gli altri i loro problemi. Non pensavamo di poter far parte di un gruppo perché legati dalla situazione di nostra figlia, né credevamo che questi amici ci avrebbero dato la serenità, la gioia di vivere, la capacità di accettare la nostra situazione con il cuore leggero, quando avevamo la morte nel cuore. C’era una porta chiusa che da soli non eravamo in grado di aprire.
E invece è quello che avvenne.
Gradatamente imparammo a camminare con nostra figlia, a capirla e accettarla e amarla in modo diverso, non come un esserino dipendente da noi, ma come persona che aveva da darti molto più della parola finalmente pronunciata bene, del sorriso, caro sì ma che non ti poteva gratificare fino in fondo. Aveva un cuore che amava, che voleva amore, ma soprattutto ti insegnava ad amare.
Accettammo la sua situazione, i suoi limiti e ci mettemmo maggiormente a suo livello.
Se dicessi che finirono le preoccupazioni, direi una bugia, perché è sempre faticoso vivere il quotidiano, però lo viviamo con più serenità; sappiamo quanta maggior soddisfazione può dare vivere con nostra figlia; non ci sentiamo più isolati perché c’è chi ti accetta per quello che sei, per quel poco che dai.
Fede e Luce diventa per me un sostegno per tutti i giorni anche nei momenti di solitudine e di amarezza come questo.
Non sono più il punto negativo
Non è stato solo un cambiamento nei rapporti con nostra figlia, ma qualcosa di più grande: è un fiorire in me di amore verso gli altri perché io non sono più il punto negativo attorno al quale girano solo tragedia e sfortuna, ma sono un granello di sabbia in mezzo a tanti altri come me, su cui Dio ha posato il suo sguardo benevolo e attraverso Fede e Luce mi conforta, ci conforta.
E quando siamo in festa alla «Casetta» sono sicura che i nostri canti, il nostro gridare, la nostra gioia sono una preghiera e un grazie a Dio per quel che ci dà.
Sono sicura che la preghiera, la Messa che ascoltiamo insieme, sono per Colui che ci guida in questa tribolata vita terrena il più grande, il più profondo atto di fede, il più meraviglioso «Sì» alla sua chiamata.
Una Mamma
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CUNEO
Prima Comunione
Domenica 12 giugno. E’ veramente una grande festa per i due gruppi del movimento Fede e Luce di Cuneo.
Quando Sonia, Rosalba, Roberto, Massimo, Fulvio, Elisabetta, Diego, Davide, Andrea, alle 17, nella parrocchia San Giovanni Bosco, si sentono chiamare uno per uno a prendere posto nella prima fila di banchi e quando, prima della consacrazione, il celebrante li invita con i genitori ad avvicinarsi all’altare, quasi per concelebrare con la loro innocenza la venuta del Signore che entrerà nei loro cuori, pochi possono frenare l’emozione e tra i canti sono sgorgate lacrime di gioia.
La chiesa è quasi piena. Parecchie persone, alcune anche solo per curiosità, sono venute a «vedere» le prime comunioni di ragazzi che, pure con le loro difficoltà, hanno come tutti gli altri il diritto di ricevere Gesù.
L’idea si è potuta realizzare grazie alla sensibilità della parrocchia e di quei genitori che, accettando il messaggio di Gesù trasmesso attraverso i loro figli, hanno saputo vincere le loro paure, affinché la gente capisca che è importante il loro ragazzo e, che, nonostante le difficoltà, egli è in grado di insegnarci le vie del Signore.
Durante la preparazione dei genitori uno di questi affermava: «Forse se non avessi avuto un figlio così non mi sarei accorto del grande dono dell’Eucarestia». Il celebrante nell’omelia annunciava: «Questo atto di fede di questi ragazzi e dei loro genitori ci deve far pensare alle nostre molte comunioni fatte con troppa leggerezza: preghiamo affinché non facciamo più la Comunione per abitudine».
M.G.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.5, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Nessuno escluso di Carlo Maria Martini
Perché lontano da Dio di Mariangela Bertolini
Articoli
"Lei non entra" di Olga Gammarelli
Come le altre domeniche Anna di J.F
Basta la porta aperta (domande in 6 parrocchie) di Sergio Sciascia
Cosa dirvi di più di Stéphane Desmasièrez
Chiediamo alle comunità religiose di Henri Faivre
Cottolengo e Don Guanella - pregiudizi e realtà di Nicole Schulthes
Rubriche
Dialogo aperto n. 5
Vita Fede e Luce n. 5
Libri
Dare a ciascuno una voce, Carlo M. Martini