Il contributo che le persone consacrate al Signore possono offrire ai più deboli, ai più fragili, ai più diseredati resta insostituibile.
La società rifiuta in modo crescente il diritto all’esistenza delle persone gravemente handicappate: a passo a passo avanza la legalizzazione dell’aborto eugenetico e dell’eutanasia.
La Chiesa ricorda con insistenza il diritto alla vita di ogni essere umano — quali che siano i suoi limiti — e perfino di chi sembra avere solo scarsissime capacità di entrare in relazione con i suoi simili.
Ma è necessario che questa difesa della morale naturale elementare sia accompagnata da realizzazioni concrete, segno di un’accoglienza effettiva, di un amore espresso e vissuto nei confronti delle persone handicappate.
E’ un dovere delle comunità cristiane: famiglie, parrocchie, movimenti, comprese, anche per dare l’esempio a tutti, le comunità religiose che hanno scelto di vivere in modo più pieno e in forme diverse il messaggio evangelico. Certamente queste comunità non possono assumere da sole — come in passato — l’educazione di intere categorie di persone handicappate, ma alcune dispongono di case e di edifici che non possono più utilizzare e che vorrebbero impiegare nel modo migliore. Ora, esistono molte persone handicappate che non trovano case dove essere accolte; è il caso di quelle affette da gravi turbe della personalità (psicotici, autistici…) e della maggior parte di coloro che hanno handicap gravi: profondamente handicappati o pluri-handicappati. Queste persone sono tenute in poco conto dalla politica dell’integrazione generalizzata. Molto spesso i loro genitori sono troppo scossi e turbati per organizzare e realizzare qualcosa da soli. E oggi è quasi impossibile — data la crisi economica — costruire nuovi edifici. Piuttosto è possibile pensare a ristrutturazioni di edifici che non servono più allo scopo per i quali furono costruiti. Qualche comunità religiosa potrebbe pensarci, nella misura delle proprie possibilità e della propria coerenza al messaggio evangelico.
Strutture che rispettino i valori essenziali
Molti genitori desidererebbero che le congregazioni religiose, se pensassero di trasformare nel modo ora suggerito il loro patrimonio, continuassero a esercitarvi alcune responsabilità. Quei beni spesso derivano da doni o lasciti fatti con la volontà di veder rispettato un certo spirito, un certo numero di convinzioni essenziali. La ristrutturazione di un vecchio convento per accogliervi delle persone handicappate non può esser fatto a prezzo di un’abdicazione, di una rinuncia a quelle convinzioni. E se la comunità religiosa intendesse trasferire la gestione ad altre persone, non potrebbe mettere un certo numero di condizioni precise quanto alla concezione, alla realizzazione del nuovo progetto e all’unità interiore dei gruppi interessati? Non potrebbe anche, per moltiplicare la sua azione resa difficile per mancanza di vocazioni, indirizzarsi alla formazione degli educatori e degli insegnanti?
Quale speranza per le famiglie se potessero sorgere scuole per educatori non solo esperti in tecniche educative o psicoterapeutiche, ma anche profondamente attaccati ai valori essenziali!
Per gli handicappati adulti, in particolare, per quelli che avranno bisogno di un luogo per vivere dopo la morte dei genitori, quanto bisogno c’è di luoghi dove vengano rispettati quei valori e le convinzioni dei loro genitori! E quanto sarebbe preziosa, in questi luoghi di vita, la presenza di religiosi e di religiose anche se poco numerosi! E per coloro che devono vivere con tanta sofferenza e amarezza un celibato imposto, quale testimonianza sarebbe quella di adulti che hanno deliberatamente scelto la via stretta del celibato consacrato al Signore e al servizio dei loro simili!
Molti sacerdoti e religiose cercano oggi di essere più presenti nel mondo, esercitandovi una professione. Fra le scelte che vengono loro proposte, perché non sottolineare delle attività in cui potrebbero incarnare in maniera privilegiata l’ideale delle Beatitudini?
La risposta a tanti bisogni
Alcuni handicappati, ormai senza famiglia, hanno bisogno di famiglie che li accolgano, magari per i fine settimana o per le vacanze. Ci sono dei religiosi che pensano a loro?
Conosco due membri di una vecchia comunità ormai sciolta che hanno deciso di continuare a vivere la loro vita religiosa pur esercitando una professione. Nel tempo libero accolgono due persone gravemente handicappate, offrendo loro una vera vita di famiglia. Molti religiosi e religiose, impegnati in un ordine attivo e che vivono una vita di preghiera e si fanno carico dell’assistenza ai membri anziani della comunità, non hanno certamente tempo libero. Ma siamo sicuri che altri possono rinnovarsi, pensare il modo di realizzare questa presenza presso le persone più colpite.
Le persone con handicap hanno del resto, come tutti noi, bisogno della parola di Dio: spetta alla comunità cristiana garantire e organizzare per loro l’insegnamento religioso e il sostegno della fede. Bisogna trovare delle persone che accettino di praticare questo insegnamento e che si formino per giungere a comunicare con le persone handicappate. Se una congregazione volesse lasciare un suo istituto, i genitori desidererebbero profondamente che essa conservasse la responsabilità di trasmettere la Parola di Dio a quelli che, forse più di altri, hanno bisogno di speranza.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.5, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Nessuno escluso di Carlo Maria Martini
Perché lontano da Dio di Mariangela Bertolini
Articoli
"Lei non entra" di Olga Gammarelli
Come le altre domeniche Anna di J.F
Basta la porta aperta (domande in 6 parrocchie) di Sergio Sciascia
Cosa dirvi di più di Stéphane Desmasièrez
Chiediamo alle comunità religiose di Henri Faivre
Cottolengo e Don Guanella - pregiudizi e realtà di Nicole Schulthes
Rubriche
Dialogo aperto n. 5
Vita Fede e Luce n. 5
Libri
Dare a ciascuno una voce, Carlo M. Martini