Prima di affrontare il problema delle psicosi precoci, è bene dare la definizione del termine «psicosi» che, classicamente, riguarda tutte le malattie mentali. Oggi è usato in senso più limitato e si applica alle malattie mentali maggiori che alterano la personalità, portano a un’alterazione della coscienza di sè e del senso della realtà, all’assenza di critica e a turbe del comportamento, del quale emergono stranezza e incoerenza.
Le psicosi precoci, appaiono prima dei sei anni di età. Quest’età limite, un pò arbitraria, può essere presa in considerazione perchè corrisponde a una realtà clinica. Difatti, nella prima infanzia e fino alla prima elementare, il bambino prende coscienza poco per volta della propria autonomia e progressivamente si distingue dagli altri. Adopriamo il termine «psicosi precoce» nei bambini che non giungono a questa differenziazione. La loro personalità, in via di elaborazione, si costruisce nel senso di una non-strutturazione o di una strutturazione disarmonica.
Il processo dissociativo su una mente in via di maturazione, rovescia quanto è stato appreso e disturba ciò che sta per esserlo. Questi caratteri così particolari lo contrappongono alla «schizofrenia» dell’adolescente e del giovane adulto: questa parola che significa «rottura-dissociazione» presuppone una personalità strutturata sulla quale sopraggiunge una dissoluzione del contatto con la realtà. Tenuto conto della nostra ignoranza dell’eziologia (insieme delle cause di una malattia), delle psicosi precoci, dell’assenza di criteri diagnostici perfettamente oggettivi, assistiamo a una grande dilatazione di questo termine: alcuni l’applicano a un gran numero di bambini turbati psichicamente, che altri non riconoscerebbero come veri psicotici.
L’autismo infantile precoce, descritto da Kanner nel 1946, è la forma più caratteristica delle psicosi precoci.
Colpisce circa 4 bambini su 10.000. E’ caratterizzato da due elementi patognomici (sintomo che aiuta a stabilire la diagnosi di una malattia).
Comportamento del bambino psicotico
1° — L’autoisolamento, cioè l’autismo
L’autismo è il sintomo principale; consiste nella impossibilità assoluta e molto precoce di stabilire un legame valido e vivo con gli altri. I genitori descrivono questi bambini come «sufficienti a se stessi», «in una conchiglia», «felici quando sono soli». Agiscono senza tener conto di chi è vicino; ignorano o respingono quanto viene dal mondo esterno. Rifiutano, in particolare, il contatto fisico o sembrano temerlo quasi lo vivessero come un’intrusione.
Il bambino autistico avvicina le persone e le usa come strumenti. Per esempio, va a cercare la mano dell’adulto per farsi aprire la porta, benché sia perfettamente capace di farlo da solo. Non guarda l’adulto, non gli si rivolge mai in quanto persona e sembra riconoscerlo più dalla funzione che svolge che come individuo: «quella che lava», «quella che dà da mangiare». Partenza e ritorno dei genitori lo lasciano freddo.
Lo sguardo è sfuggente, periferico o vuoto, evita di incontrare lo sguardo dell’altro, sentito come pericoloso.
Se si cerca di penetrare nel suo chiuso universo, il bambino reagisce con aggressività, senza parole, senza uno sguardo, poi ricade nell’isolamento. Non si mescola agli altri bambini, non partecipa ai loro giochi, li attacca con violenza se questi pretendono di avvicinarlo.
I disturbi del linguaggio sono abituali. L’assenza del linguaggio corrisponde verosimilmente a un disinteresse totale del bambino che, benché non parli, sembra capire tutto quanto gli si dice. E’ spesso considerato sordo (opinione smentita da un esame audiometrico di difficile interpretazione — spesso questi bambini non reagiscono ai rumori o lo fanno in modo paradossale).
L’acquisizione del linguaggio prima dei cinque anni è un elemento importante della prognosi.
Nei casi sfavorevoli, il linguaggio compare ma resta inadatto, alterato e povero. Non ha valore di comunicazione: è formato da parole isolate ed è formulato in base ad assonanze.
L’ecolalia, cioè la ripetizione con la stessa intonazione delle parole pronunciate davanti al bambino, immediata o differita è frequente. L’inversione pronominale è tipica: utilizzazione di «egli, lui» o del «tu» al posto dell’«io», o di «me». Il bambino parla a se stesso come a un altro o con le frasi che ha sentito rivolte a sé: «Spingi il braccio, da bravo» «Vedrai…»; oppure, cosa molto caratteristica che fa pensare alla mancanza di una vera coscienza della sua individualità (autonomia), adopera la terza persona per parlare di sé: «Lui mangerà», oppure «Piero mangerà». Il tono della voce è spesso bizzarro, monotono o anche meccanico, perciò detto fonografismo.
La parola dell’altro è risentita come un’intrusione, un’aggressione. Il bambino psicotico reagisce con angoscia alla voce forte. Se gli si parla come senza rivolgersi a lui (da dietro le quinte) in maniera dolce e come impersonale, si dimostra sensibile e risponde in modo più giusto.
Le stereotipie gestuali cioè la ripetizione costante e invariata di certi movimenti o gesti, sono abituali. Consistono in tamburellamenti, movimenti degli arti superiori simili a battiti d’ali, saltelli sulla punta dei piedi, gesti con le dita di un’enorme abilità…
I gesti di autoaggressività non sono rari. Chiuso nel suo silenzio non può, come i neonati, manifestare il suo disagio se non con grida e gesti violenti. Così il bambino batte la testa contro il muro o il pavimento con estrema forza, si graffia, si morde, si strappa i capelli. Sembra che ci sia in loro una relativa insensibilità al dolore. Talvolta può essere necessario proteggere il bambino con un casco, oppure bisognerà perfino legarlo per evitargli gravi ferite. Questa autoaggressività non è fortuita: risponde a una frustrazione oppure è segno di un appello, un indirizzare su di sé l’aggressività destinata ad altri o anche un’autostimolazione.
Questo comportamento non può essere considerato come automatico ma, al contrario, come una condotta carica di significato relazionale.
2° — Il bisogno ossessivo dell’immutabilità
II bambino malato rifiuta in modo ossessivo e angoscioso ogni cambiamento in quanto lo circonda. Rappresenta una forma di ripiegamento su posizioni sicure e facili da difendere. Il bambino psicotico ci si aggrappa; urla e protesta non appena scorge un’innovazione.
La sua memoria abituale circa la disposizione degli oggetti anche dopo molti giorni è straordinaria e può spiegare sorprendenti capacità in certi campi ben precisi: incastri, puzzles, ai quali si dedicano alcuni bambini, per periodi lunghi, dondolandosi ritmicamente da un piede all’altro, cantilenando una specie di melopea.
Questo bisogno imperioso si manifesta anche a proposito dello svolgersi delle attività quotidiane. Ogni cambiamento di orario è captato e suscita manifestazioni di panico. Bisognerebbe, per quanto possibile, preparare il bambino a questi cambiamenti in modo che li possa sopportare.
La stessa cosa può valere per i vestiti che sono per il bambino una protezione e gli permettono di difendersi dal contatto con gli altri. Il minimo strappo provoca uno smarrimento enorme.
Che sappiamo sulle cause?
Nelle sue prime pubblicazioni Kanner considerava le particolarità dell’ambiente famigliare come il terzo denominatore comune di questa sindrome. Esisterebbe una precoce alterazione dei rapporti del bambino con i suoi genitori appartenenti ad ambiente fortemente intellettuale, freddi, perfezionisti, senza humour, a loro agio più nel mondo delle astrazioni che fra gli uomini, dal momento che questa «freddezza affettiva» avrebbe un ruolo importante nei primi stadi dello sviluppo del bambino.
Ma poi è ritornato sopra questa ipotesi: l’autismo, infatti, si trova in tutte le razze, in ogni popolo, in tutte le classi sociali.
Troviamo nella storia remota di quasi metà dei bambini psicotici traumi organici che possono essere l’origine di un’encefalopatia.
Alcuni autori pensano che la «struttura organica» «l’equipaggiamento» del bambino non gli consenta di adattarsi alle domande e alle esigenze provenienti dall’ambiente esterno.
Un bambino — pensiamo — non nasce psicotico o non lo diventa, senza che esistano, almeno, dei fattori costituzionali che ve lo predispongano. In più, la nascita di un bambino «che delude» ferisce gravemente i genitori e questa ferita porta a relazioni particolari fra il bambino e i suoi genitori.
Comunque sia e di fronte all’ignoranza sull’eziologia delle psicosi precoci, non possiamo schiacciare dei genitori, già così provati, con un senso di colpa completamente ingiustificato.
Come precisare la diagnosi
Questi bambini spesso colpiscono per la bellezza, i lineamenti regolari e delicati, l’espressione intelligente. L’insufficienza intellettiva non appare all’inizio della malattia e può situarsi, in certi casi, al di sopra della media, dando così ragione di alcune capacità eccezionali, ma sterili, come quelle dei prodigiosi calcolatori di calendario.
I test proiettivi (tecniche che consistono nel sottoporre una serie di immagini da interpretare) sono possibili solo se il bambino può esprimersi. Predominano i temi quali «lacerazione», «divoramento», «catastrofe», «smantellamento». La diagnosi differenziale nel bambino piccolo sarà di sordità o di ipoacusia (udito fievole). I bambini sordi hanno spesso atteggiamenti di isolamento che li avvicinano al bambino autistico. E’ quindi una diagnosi difficile. Lo stesso vale per il sordomutismo e la sordità verbale congenita.
Alcuni bambini, vittime di carenza prolungata di cure materne e di lunga degenza in ospedale, possono apparire come autentici psicotici. Ripresi, in buone condizioni di educazione e di affettività, i tratti psicotici osservati spariranno. Invece, alcuni bambini, più
vulnerabili e carenti, evolveranno verso una psicosi inveterata.
L’evolversi delle psicosi precoci è, nell’insieme, per ora piuttosto grave e, salvo eccezioni (alcuni studi parlano di guarigioni spontanee e assolute), la possibilità di guarigione appare molto lieve. Perfino nei casi di miglioramento spettacolare, restano difficoltà di linguaggio e comportamenti strani. Tuttavia questi bambini possono adattarsi alla vita normale… e accedere ad attività di laboratorio protetto.
Come aiutare questi bambini
La diversità delle terapie proposte mostra come nessuna di esse possa considerarsi un toccasana. La terapia farmacologica è indicata per le crisi di angoscia, di agitazione e di collera in rapporto al grado di tolleranza dell’ambiente circostante. Somministrata con prudenza e sotto sorveglianza medica rigorosa, permette di avere un contatto migliore con il bambino facilitando una eventuale psicoterapia.
In nessun caso deve costituire una specie di «camicia di forza» chimica.
Più spesso si ricorre alle psicoterapie di diversa ispirazione e ad una sistemazione dell’ambiente e della struttura di vita.
— Le tecniche «riparatrici» cercano di evitare al bambino ogni frustrazione e l’aiutano a vivere in modo armonioso e soddisfacente le tappe della relazione madre-bambino che sarebbero mancate.
— Le tecniche «interpretative» si appoggiano al modello psicanalitico
— Le tecniche «comportamentali» mirano ad eliminare i sintomi più fastidiosi. I tentativi di scolarizzazione offrono modo di contatto non trascurabile e si sovrappongono per fortuna alle psicoterapie: il bambino autistico è sempre capace di progresso, secondo il suo ritmo, con periodi di regresso più o meno prolungati.
Il bambino psicotico può essere trattato in un centro diurno, che egli può frequentare ogni giorno. Qui gli è possibile beneficiare delle tecniche sopra accennate, senza essere tagliato fuori dalla famiglia. I centri che funzionano a tempo pieno rispondono a bisogni più di ordine sociale che medico: si dovrà farvi ricorso in certe situazioni famigliari particolarmente difficili.
La sistemazione in ambienti specializzati può essere una soluzione per agevolare un «decondizionamento» di alcuni comportamenti e permettere ai genitori di riprendersi un po’. Sono così bisognosi di aiuto e di sostegno! La vita di una coppia e la vita dei fratelli risentono molto della presenza di un bambino autistico. Certi genitori superano questa indicibile prova in modo ammirevole: addirittura aiutano altri genitori e li guidano.
Per concludere, possiamo dire che la ricerca dell’eziologia delle psicosi precoci segue due direzioni: una, biologica, tenta di mettere in evidenza un possibile difetto di funzionamento, innato o acquisito precocemente, nella struttura neurobiologica.
L’altra, psicogenetica, mette l’accento su eventuali distorsioni relazionali fra madre e neonato.
Questi due punti di vista non escludono una migliore conoscenza dei segnali di allarme come segni premonitori di un’evoluzione psicotica.
La precocità della diagnosi e dell’intervento terapeutico sul bambino e sul suo ambiente famigliare, sarebbe una fonte di speranza e permetterebbe di essere più ottimisti sull’evoluzione di questa malattia.
-di Jacques Didier Duché, 1984, da Ombres et lumière N. 61
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.6, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Il mistero del bambino psicotico di Marie Hélène Mathieu
Quattro storie
Figlio mio non credo di Delia Mitolo
È sempre stato rifiutato di Lina Cusimano
La legge sull'integrazione di Vincenzo e Irene Ruisi
“La riabilitazione nella scuole”. Ma la bambina non è tenuta in classe
di L.N.
Altri articoli
Nessun uomo è una pietra del Prof. Yves Pélicier
Psicosi precoci del Prof. Jaques Didier Duché
Un centro per la cura della psicosi di N. Schulthes e S. Sciascia
Psicosi infantile: alcuni consigli utili
Rubriche
Libri
Vivere con un bambino autistico, A. e F. Brauner