«Le testimonianze raccolte in questo fascicolo (Ombre e Luci n. 5) spingono le comunità cristiane ad approfondire sul piano teorico e pratico l’accoglienza verso gli handicappati»
Quando penso ai rapporti tra la comunità cristiana e le persone in difficoltà, mi viene da chiedermi: «Chi è veramente in difficoltà? Chi è a disagio?»
Accade, infatti, uno strano capovolgimento della situazione. Le persone portatrici di handicap, soprattutto mentale, sono spesso serene, desiderose di partecipare alla vita della comunità, felici di stare con gli altri, di cantare, di pregare. Invece le persone che frequentano abitualmente la comunità cristiana sono non di rado impacciate, diffidenti o addirittura infastidite dinanzi ai comportamenti degli handicappati e ai problemi che essi suscitano.
Il disagio che afferra la comunità cristiana, quando si imbatte in persone handicappate, finisce per influire negativamente sulle persone stesse e soprattutto genera una profonda sofferenza nelle loro famiglie.
Dobbiamo da una parte offrire con grande umiltà questo disagio al Signore e insieme chiedere alla fede di far luce su queste nostre povere ombre umane.
La fede presenta due principi fondamentali, che possono dischiudere un cammino fruttuoso di cambiamento di mentalità e di impegno concreto.
Il primo principio è la certezza che il Regno di Dio è aperto a tutti. Tutti sono chiamati al Vangelo, alla buona notizia di Gesù, mandato dal Padre per la nostra salvezza, morto e risorto per dare a tutti la vita. Il destino di ogni uomo è di diventare figlio di Dio in Gesù Cristo, il Figlio unigenito donato dal Padre al mondo.
Nessuno è escluso da questa chiamata. Anzi coloro che sono esclusi da altre possibilità di gioia, da altre comunità umane, da altre ricchezze, diventano i primi, i preferiti, i privilegiati dinanzi alla gioia del Vangelo, alla comunità dei figli di Dio, alle ricchezze del Regno. Tutto questo diventa ancor più chiaro e stringente, quando il Regno di Dio ha cominciato a manifestarsi in una persona attraverso il dono del Battesimo.
Noi troviamo tanto giusto dare il Battesimo anche alle persone con difficoltà fisiche e psichiche.
Orbene il Battesimo agisce in loro come un principio di vita che vuole espandersi nella pienezza eucaristica dell’itinerario sacramentale e nella pienezza carismatica dell’itinerario vocazionale.
Certo la partecipazione alla vita comunitaria, la celebrazione dei sacramenti, la corrispondenza alla propria vocazione comportano per le persone handicappate alcuni particolari problemi.
Dinanzi a questi problemi deve intervenire il secondo principio. La fede ci fa entrare in comunione con un popolo, che cammina verso il Regno. Il cammino viene compiuto insieme. Ciascuno deve poter contare sulla fede del fratello e insieme deve sapere farsi carico della fede del fratello. Chi di noi, considerando la propria vita di fede, riesce a distinguere nettamente ciò che deriva da lui e ciò che è donato dalla famiglia, dall’educazione, dalla convivenza con persone piene di fede?
In fondo la fede delle persone handicappate mentali rappresenta un caso particolare e significativo della legge generale della comunione della fede e nella fede. E’ un caso in cui gli aspetti personali della fede hanno un particolare bisogno di essere contenuti e sostenuti dagli aspetti familiari e comunitari.
Sarebbe però incompleto parlare solo di un sostegno che la fede dei fratelli offre alla fede delle persone handicappate: c’è anche una ricchezza che la fede degli handicappati dona alla comunità cristiana.
La fede è una partecipazione alla vittoria dell’amore di Cristo sul male che c’è nel mondo.
Negli handicappati e nelle persone che vivono con loro, l’amore di Cristo celebra una vittoria che ha dimensioni nuove e sorprendenti.
Le testimonianze raccolte in questo fascicolo ne sono una prova stimolante.
Esse spingono le comunità cristiane ad approfondire sul piano teorico e pratico l’accoglienza verso gli handicappati. Spingono soprattutto a un cambiamento di mentalità.
Ci immaginiamo che questi fratelli in difficoltà vengono a bussare alle nostre porte per chiedere un aiuto, un sorriso, un appoggio. Poi ci accorgiamo che vengono a offrire un dono.
-di Card. Carlo Maria Martini, 1984
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.5, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Nessuno escluso di Carlo Maria Martini
Perché lontano da Dio di Mariangela Bertolini
Articoli
"Lei non entra" di Olga Gammarelli
Come le altre domeniche Anna di J.F
Basta la porta aperta (domande in 6 parrocchie) di Sergio Sciascia
Cosa dirvi di più di Stéphane Desmasièrez
Chiediamo alle comunità religiose di Henri Faivre
Cottolengo e Don Guanella - pregiudizi e realtà di Nicole Schulthes
Rubriche
Dialogo aperto n. 5
Vita Fede e Luce n. 5
Libri
Dare a ciascuno una voce, Carlo M. Martini