Chi ha avuto un figlio con turbe del comportamento, chi ha diviso la sua vita con un ragazzo psicotico, sa.
Chi non ha vissuto questa esperienza non può sapere. Nulla può sostituire l’esperienza. Ammesso ciò, Ombre e Luci propone queste quattro esperienze, raccontate, dalle persone che le hanno vissute, senza fronzoli né bravure stilistiche. Con un po’ di partecipazione affettiva e un po’ di fantasia si può «leggere» che realtà ci sia dietro frasi e parole molto piane e usuali. Ci sembra questo il punto di partenza necessario del viaggio attraverso i problemi che sono intorno e dentro la psicosi infantile che questo Ombre e Luci propone.
Figlio mio non credo di poterti più accompagnare in chiesa così. Non ce la faccio
E’ di circa tre anni fa questa mia esperienza di madre di un ragazzo che vive «un’adolescenza psicotica».
Mio figlio Michele rifiuta gli abiti abituali, si veste di sudici brandelli di vestiti, quelli stessi che indossava un anno prima, al tempo in cui è iniziata la crisi. Non comprende perché non si possa uscire così.
«A chi faccio del male?»
Non mi è facile rispondere.
Comincio coi discorsi sul pudore. Ed egli: «Ma ognuno ha il corpo fatto così, di cosa dobbiamo vergognarci?»
Non trovo facili argomenti per controbattere.
Egli esce per strada, sfida tutti, lo scherno, il disprezzo degli altri, a volte le minacce. Certo egli soffre per questo mondo intorno a sé, a cui a modo suo vuol comunicare un suo messaggio di autenticità, ma da cui riceve solo disprezzo ed emarginazione. Io soffro con lui. Egli lo capisce e mi mette alla prova. «Accompagnami tu, vieni con me». Con un nodo alla gola, quando la situazione non è molto drammatica io lo accompagno. Per me è sofferenza profonda.
La domenica con i quattro figli sono solita andare a messa. Mio figlio Michele continua a venire insieme, ma non vuole accettare di vestirsi decentemente. E’ la sua sfida. Li accompagno lo stesso. Gli altri figli, di qualche anno più piccoli di lui, nel loro silenzio, condividono con me, credo, il dolore composto, consci di essere guardati da tutti, interrogati da sguardi meravigliati o che chiaramente disapprovano. La forza mi viene dal sapere e dal dimostrare in concreto che, fin dove posso, questo mio figlio fa parte della nostra famiglia, disposta a dividere tutto con lui. In Chiesa mi toccherà fra l’altro di sentirmi chiedere da una suora: «Signora, se ha bisogno di abiti per suo figlio, me lo dica, non faccia complimenti». Io la ringrazio garbatamente, ma sento più forte il mio dolore. Michele lo capisce. Mi chiede sorridendo ironico: «Che ha detto?» Io rispondo: «Non ha capito niente».
Un giorno dico a Michele: «Figlio mio, non credo di poterti accompagnare più in chiesa così, non ce la faccio!» Michele capisce, forse comprende che esprimo anche i sentimenti dei fratelli, specie della sorellina che a volte scorgo piangere silenziosamente e negli ultimi tempi si rifiuta rigidamente di uscire con noi. Questo ragazzo sembra conoscere i limiti «materiali» che anche l’amore può avere. Questo mi fa contenta. Infatti dice: «A messa ci posso andare anche da solo!» Ora è solo, nella sfida verso gli altri. Dalla domenica successiva va a messa dopo di noi.
Una prima volta un prete che si trova di passaggio lo accompagna a casa e si trattiene con lui facendogli discorsi vari. Un’altra volta mi telefona il parroco; io gli spiego la situazione e vado a riprendere Michele. Ma Michele la domenica successiva ritorna ancora a messa con gli stessi abiti a brandelli.
Nelle domeniche successive quello che succede più o meno lo vengo a sapere. Ogni tanto un fedele lo preleva dalla Chiesa e lo accompagna in sacrestia. Lì il parroco o altri lo rivestono di abiti che hanno in parrocchia. Dopo aver ascoltato la messa vestito decentemente, Michele ritorna a casa, si mostra a me vestito, tutto sorridente, ma vedo che ha portato indietro gelosamente i suoi stracci, che immediatamente si rimette addosso. Dopo alcune domeniche nel guardaroba di Michele ritrovo tanti abiti della parrocchia messi da parte, ma Michele esce sempre con i suoi stracci. Gli dico: «Michele, di solito siamo noi che diamo gli abiti alla parrocchia per i poveri, anziché riceverli! Almeno indossali, ora». Come non detto: ritorna in chiesa ancora seminudo, ma si porta dietro degli abiti decenti ricevuti in parrocchia, per cambiarsi una volta giunto in sacrestia. Il parroco gli chiede questa volta di abbandonare in parrocchia definitivamente quegli stracci, ma egli fa molta resistenza.
Il parroco tenta di nasconderli. Questo provoca in Michele una crisi di rabbia; la sua fiducia è stata tradita.
Da allora il parroco è in crisi. Io vado da lui, gli faccio notare che mai Michele da me ha accettato abiti decenti, né da altri. Questo che ha fatto per la chiesa è pur sempre qualcosa di speciale. Forse dobbiamo aver fiducia, attendere… tentare qualcos’altro. E poi, io penso fra me, il fatto più importante è che Michele si incontra col Signore, il Signore attende lì mio figlio e certamente lo ama, anche se così scombinato. Ma il parroco ha messo lo stop (Si può mettere lo stop all’amore?). Mi dice: «E’ venuto un gruppo di fedeli a protestare, io non posso creare problemi fra i fedeli, trovano la cosa molto sconveniente, perché comunque Michele arriva seminudo in sacrestia, anche se per andare in Chiesa si veste». Ho pensato per un momento come stranamente mio figlio imitava lui, che in sacrestia vestiva i paramenti sacri!
D’allora in poi Michele non è tornato più a messa; peraltro nessuno della parrocchia è venuto più a cercarlo.
Io ho continuato ad andare a messa solo con tre figli, ma a breve distanza sono divenuti di nuovo quattro, perchè per volere di Dio mi si è aggiunto un ragazzo, incontrato in circostanze particolari in clinica psichiatrica, che si è poi molto legato a me affettivamente.
Oggi che mio figlio sta meglio dopo tante vicissitudini, ritornando a quello che accadeva tre anni fa con la parrocchia, penso che quella Presenza di Dio nella Chiesa, dalla cui potenza io attendevo l’aiuto a mio figlio (il quale a modo suo lo cercava), non ha potuto allora operare perchè non ha trovato nel cuore dell’uomo quel tramite, fatto di fiducia e di coraggio, attraverso cui riversare il suo Amore.
– Delia Mitolo, 1984
Quattro storie
Figlio mio non credo di Delia Mitolo
È sempre stato rifiutato di Lina Cusimano
La legge sull’integrazione di Vincenzo e Irene Ruisi
La riabilitazione di L.N
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.6, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Il mistero del bambino psicotico di Marie Hélène Mathieu
Quattro storie
Figlio mio non credo di Delia Mitolo
È sempre stato rifiutato di Lina Cusimano
La legge sull'integrazione di Vincenzo e Irene Ruisi
“La riabilitazione nella scuole”. Ma la bambina non è tenuta in classe
di L.N.
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Libri
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