La felicità della nascita, la prima paura, il colpo della diagnosi, il tormento e il conforto dei rapporti con gli altri, la ricerca sull’handicap, la volontà di riprendere.
La madre e il padre raccontano l’esperienza della nascita di un figlio «Down».
Una nascita felice
Sabato mattina, molto presto, comincio a sentire le prime contrazioni. Che sià già il nostro piccino che arriva? Presto! un colpo di telefono e, malgrado l’ora, alcuni amici arrivano per prendere con loro Nicola, il nostro primo di tre anni.
Ore 8.30: meravigliosa nascita di Caterina, accolta con gioia ed emozione dal papà e dalla mamma.
Eccola qui, paffuta, così piccola fra le mie braccia. Mio marito ci lascia sole un momento per andare al telefono e annunziare la buona notizia alle nostre famiglie. Mi mettono Caterina accanto in un minuscolo lettino; qualche minuto dopo la vedo agitarsi, come non a suo agio, girando la testa in continuazione. Avviso l’ostetrica. Pensa che Caterina abbia freddo e la porta in incubatrice per riscaldarla. Io sono felice, serena. Aspetto che Michele ritorni.
Attorno a me crolla tutto
La porta si apre. Il professor W., il pediatra, mi guarda, poi mi chiede: «Non ha notato niente di particolare nella piccola?»
Comincio a preoccuparmi, sono turbata, rispondono di no. «L’abbiamo trovata un po’ troppo rilasciata subito dopo la nascita. Soltanto dopo un’ora, abbiamo notato che non stava bene».
«Mi hanno chiesto di visitare Caterina, dice, la troviamo molto ipotonica, pensiamo che occorra ricoverarla in ospedale il prima possibile, fare delle analisi… Forse presenta un’alterazione cromosomica e i bambini così sono handicappati mentali, ma niente è sicuro, bisogna fare degli accertamenti».
Entro in un incubo. Cerco di saperne di più, ma il dottore non fa che ripetersi. Naturalmente sono d’accordo per il ricovero di Ca-
di persone alle quali non abbiamo granché da dire ci raccontano le «notizie» del giorno che non ci interessano affatto. I visitatori parlano di sé, delle loro preoccupazioni quotidiane. Ci chiediamo perché ci raccontano tutto ciò, mentre la bambina sta lottando per vivere. Per noi il nostro solo orizzonte è lei, il resto non esiste più, l’attualità ci lascia com pletam en te in differenti.
Non sanno che forza bisogna tirar fuori per tenere a bada i nervi, per cercare di sorridere, di parlare, di «tener duro» dopo un tale choc psicologico.
Altre visite al contrario, ci aiutano a liberarci. Alcuni amici sanno ascoltare, sanno tacere. Non si lamentano, ma incoraggiano. Per loro Caterina esiste. Ci dicono capaci di vivere • con lei pur continuando la nostra vita normale. Ci aiutano con il loro patrimonio interiore e spirituale.
Alcuni degli amici desiderano vedere Caterina. Dopo questo contatto, Caterina è qualcuno e capiscono meglio i nostri problemi. Altri preferiscono vedermi a casa e mi mandano dei fiori. Altri ancora ci parlano di famiglie che hanno un figlio con tri- somia 21, che vive felice. Ora capiamo la nostra ignoranza di «prima», quando, non toccati da vicino, non sapevamo nulla di un mondo pur esistente nel nostro mondo. Il fatto di sapere ohe non siamo soli, che altri genitori hanno conosciuto la nostra desolazione e ne escono giorno dopo giorno, ridà fiducia nell’avvenire.
Oggi, quando incontriamo per strada dei genitori con un figlio handicappato, abbiamo voglia di dire: «Anche noi». Del resto, mi è capitato di farlo e ogni volta ne è venuto fuori un dialogo molto positivo.
Documentarsi?
Alla mia domanda, una cugina cerca di mettere insieme qualche documento chiaro e serio sulla malattia di Caterina. Ho un gran bisogno di spiegazioni. Michele, per conto suo, ha trovato degli articoli, ma me li mostra solo dopo che io gli ho parlato dei miei! Non aveva capito che, malgrado il dolore, anch’io, come lui, dovevo sapere. Ci siamo resi conto che avevamo bisogno di due approcci diversi del problema; uno, scientifico, ci ha fatto leggere articoli di biologia e di medicina, pagine di enciclopedia, articoli di giornale, estratti di conferenze che spiegavano i fatti; l’altro, di natura emotiva, ci ha spinti a cercare testimonianze di genitori e di persone vicine a bambini considerati «anormali». Di qui il primo contatto con la rivista Ombre e Luci»). Le spiegazioni e le letture sono state per noi insieme un aiuto, un rifugio, una pacificazione. Non sono d’accordo con i professionisti che giudicano malsano per dei genitori cercare di in formarsi leggendo articoli di medicina. Piuttosto che criticare le letture dei genitori, dovrebbero proporre a coloro che lo desiderano, riviste e libri fatti bene.
Otto giorni dopo, sabato di Pasqua, ritrovo il nostro Nicola e la casa, la culla vuota, e poi la vita della città, le macchine, i negozi, le spese, la folla. L’ospedale è una vita a parte. Sono stordita; mi sento separata da tutta questa gente che incontro.
Mandiamo i biglietti di annuncio della nascita di Caterina agli amici, ai fami- gliari lontani, cercando di dire che Caterina è malata. Tutti risponderanno con molta delicatezza… Cominciamo un album di fotografie per Caterina come avevamo fatto per Nicola.
Essere forti per lei
Finalmente Caterina arriva a casa. Abbiamo preparato una piccola festa per il suo arrivo invitando qualcuno delle nostre famiglie. L’abbiamo presentata in chiesa con la madrina e il padrino che hanno pronunciato il <( sì» con consapevolezza Quel giorno abbiamo avuto la forza necessaria per leggere — attorniati da una piccola assemblea — le poche righe che seguono, e le rileggiamo spesso quando siamo stanchi fisicamente e moralmente per la malattia e la sofferenza di Caterina. «A questo avvenimento inatteso all’inizio non volevamo credere. Non era possibile dal momento che nulla ci aveva predisposti. La prima reazione è di non vedere questa realtà, di non crederci. Ci si dice che si è fatto un brutto sogno e che tutto ricomincerà da qualche ora prima. Presto però bisogna affrontare la realtà. E’ una rimessa in causa di se stessi, di tutta la scala dei valori che ci eravamo fissati, di tutti i piani stabiliti. Ma su che cosa si piange? Su di sé, certamente. Questo è l’errore. Il nostro sconforto non colpisce noi, né voi, ma Caterina. Allora, bisogna reagire, bisogna essere forti per lei. Ah, quanto questa prova ha stretto i legami che ci uniscono e ha fatto crescere il nostro amore uno per l’altro! Questo amore vorremmo che rimbalzasse su di voi e che l’unione che oggi viviamo intorno a Caterina si possa prolungare nel domani. Facciamo in modo che la nostra accettazione sia la vostra accettazione. E per questo allora, diamo tutti a questa bambina quell’amore a cui hanno diritto tutti i bambini». - di J. Michel e F. Buchoud, 1984
(OMBRES ET LUMIERE N. 23)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.8, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Ritrovarsi genitore di un bambino handicappato di Marie Hélène Mathieu
Articoli
Essere forti per lei di J. Michel e F. Bouchoud
Ed era la nostra consolazione di Roberto Mezzaroma
Natale del mio cuore di Camille Proffit
So quel che non bisogna fare Intervista a Marie-Odile Réthoré
E gli altri figli? Bisogna a ogni costo che... di Marie-Odile Réthoré
Prima che sia tardi di Sergio Sciascia