Che cosa è la Messa?
La Messa è, intorno a Gesù e in Lui, la cena di famiglia dei figli di Dio, nella casa del Padre. Con Gesù e in Lui, stessi si offrono con le loro gioie e le loro pene a questo Dio Padre. Questo dono è qualcosa di sacro: un “sacrificio” vissuto nell’amore filiale e fraterno.
Perché, a questa cena, le persone con handicap mentale non avrebbero il loro posto? Chi fra noi non accoglierebbe alla propria tavola, un figlio, una cugina handicappata? A questa offerta del Cristo, che è anche la nostra offerta, non hanno forse loro essi niente da offrire di gioia, di pena, d’amore? Allora, perché si trovano, di fatto, così spesso lontani dall’Eucaristia, dalla Messa?
Le difficoltà
Raramente le difficoltà vengono dall’a persona con handicap: se egli non esprime esplicitamente il desiderio di partecipare alla Messa, è raro che la rifiuti. Se mai, succede più spesso di quanto si pensi, è lui a chiedere di andarci, di comunicarsi, e lo chiede con ardore, con tenacia, fino ad andarci da solo.
Le difficoltà vengono, a volte, dai genitori che temono di disturbare e di trovarsi a disagio. Così scrive una mamma: “Ho un po’ paura di andare a Messa perché spesso con me ha un comportamento che può sembrare strano e il mio rispetto umano ne soffre”.
Le difficoltà vengono più spesso dall’ambiente parrocchiale, qualche volta dal clero, non tanto per opposizione quanto per mancanza di comprensione e di interesse attivo.
Dei genitori osservano:
A parte qualche prete che ha conservato il tesoro della tenerezza per i più piccoli, abbiamo l’impressione d’una incomprensione totale di cosa sia un debole mentale, della ricchezza che ci può essere in lui… Sembra che i nostri figli siano classificati come una categoria con la quale non si comunica, perché non serve a niente”.
E ancora:
La parrocchia non ha fatto mai niente per avvicinarsi a questi ragazzi e mio figlio non ha mai sentito un richiamo da quella parte”.
Infine:
“Il mio parroco ritiene che tutto questo sia inutile: solo per far piacere a me, la mamma…”
Che cosa fare?
Quanto a noi, sul piano del principio fondamentale, abbiamo cercato di applicare la regola per cui ogni handicappato, bambino, adolescente o adulto, che manifesta un vero desiderio di partecipare alla Messa, non deve ricevere un rifiuto. Aggiungiamo che, essendo la Messa una cena, la partecipazione ci sembra implichi (bisogna arrivarci in tempi brevi) la possibilità di comunicarsi. Del resto è logico che un handicappato mentale accetti con difficoltà di essere alla Messa senza poter accostarsi alla Mensa insieme a quelli che lo circondano.
“Ma – si dice spesso – capisce?”. Rispondiamo innanzitutto: “Chi capisce?”.
Il curato di Ars dichiarava: “È così grande la Messa che, se un prete si rendesse conto di cosa fa quando la celebra, ne morirebbe”.
Chi di noi dunque osa pretendere di aver capito il mistero eucaristico? Ricordiamoci che la chiesa, in quanto a comprensione, chiede solo che sia fatta una distinzione fra pane eucaristico e pane comune. La maggior parte delle persone con ritardo mentale è capace di percepire, anche se confusamente, che si tratta di unirsi a Gesù, pane di Dio, nell’amore per il Padre e per i nostri fratelli. E il loro desiderio di riceverlo si manifesterà più con l’atteggiamento che con le parole, delle quali molti di loro sono incapaci di far uso.
Quando e quanto spesso è possibile la loro partecipazione alla Messa?
È proprio lui, l’handicappato, che dovrebbe poter decidere soprattutto nell’adolescenza. Senza dubbio sarà difficile per accompagnare un handicappato profondo a Messa ogni domenica. Uno potrà, un altro no, un altro preferirà andarci durante la settimana, un altro potrà andarci solo una volta al mese. Ogni caso è particolare. Quello che importa è destare il desiderio e che questa partecipazione alla Messa resti per ognuno segno di gioia profonda e legata a un ricordo luminoso.
Al limite, qualche volta, bisognerà far capire all’handicappato mentale che non c’è solo il suo desiderio che conta, oltre a quello dei genitori, ma anche e prima di tutto il “desiderio di Dio” che può “aver voglia di lui…”
C’è una ragione per dare la comunione all’handicappato mentale o ammetterlo alla Messa senza che ci sia preparazione?
Sarebbe un altro modo di sottovalutarlo. Egli ha diritto a questa preparazione che deve essere fatto in maniera adeguata alle sue capacità e tener conto delle sue difficoltà specifiche.
Il vero pericolo è che un handicappato mentale rimanga passivo alla Messa, che ci venga e rimanga ad aspettare che finisca, che si agiti per stanchezza e disinteresse e, alla fine, che ne provi disgusto.
È vero che, nonostante i cambiamenti fatti, la liturgia delle messe di oggi non è per l’handicappato mentale, talvolta anche per le persone normali, molto più comprensibile del latino di una volta. Speriamo che si arrivi a trovare parole più semplici e più accessibili pur restando fedeli all’essenziale.
L’handicappato
Quel che importa che l’handicappato mentale abbia la possibilità, di aderire vivamente alla celebrazione eucaristica e questo possono farlo. Certamente essi possono avvertire che c’è lì qualcosa che non capiscono, ma, nello stesso tempo, sentono che la Messa li riguarda e li interpella.
In questa adesione essi ricevono e danno.
Ricevono: con l’accoglienza profonda del mistero sacro che costituisce la la Messa.
Danno: con la loro presenza, l’attenzione, il canto, un gesto significativo, simbolico, fatto, per quanto è possibile, di loro iniziativa, a modo loro.
All’offerta di Gesù, cosa porteranno per unircisi?
Prima di tutto loro stessi, ma anche qualcosa della creazione di Dio che ci è stata donata, qualcosa che a loro piace. Sarà un gesto, una parola semplice, un disegno fatto con un’applicazione, un fiore, un sasso che hanno raccolto e che hanno visto bello.
L’handicappato mentale può mettere tutto se stesso in questa offerta semplice. L’accoglienza del dono di Dio, questa risposta attraverso il dono di sé e di ciò che lo simbolizza, culmineranno nella comunione eucaristica vere e proprie, ma tutta la Messa e comunione con l’amore di Dio e dei fratelli. Anche il bacio della pace o il gesto di pace (darsi la mano, un abbraccio, un altro segno di amicizia) può essere messo in risalto e aiutare a vivere la Messa in modo autentico.
La comunità
Ma, lo sappiamo bene, l’atteggiamento della comunità ha un ruolo di primo piano. Diremmo volentieri che deve essere una comunità che accetta, che accoglie, attiva, che prega.
Che accetta, tollera la vista di un handicappato mentale e il suo comportamento.
Che accoglie: poco per volta bisognerà che la comunità sia contenta di questa presenza; che consideri benvenute le persone handicappate, che accetti di dialogare con loro il più possibile, che le faccia sentire accolti, ricevuti in amicizia. Al limite, perché non potrebbe essere proprio lui, l’handicappato, che aiuterà all’uscita della chiesa a far sì che la gente si conosca? Forse proprio lui può divenire artefice di unione fra le persone che non si conoscono.
Attiva. È molto importante che la comunità sia contenta di essere a Messa, che manifesti questa gioia interiore e che tutti i suoi membri manifestino il desiderio che questa gioia sia per tutti. L’handicappato mentale esprimerà più di tutti gli altri la sua gioia e lo farà con più autenticità degli altri.
Che prega, infine. Bisognerà che la persona con handicap sia sostenuto e come portato dalla preghiera di tutti, ma anche qui, a modo suo, sarà proprio lui che ci aiuterà a pregare, poiché non ci lasciamo sconcertare dal suo modo di essere.
Una nota ancora: si crede spesso che, per l’handicappato mentale ci vorrebbe una Messa molto breve; si è persino parlato di una “mini Messa”. Mi pare un errore.
Al contrario, all’handicappato mentale è necessario un tempo per “entrare in sintonia”. Una Messa “bassa”, detta rapidamente, gli conviene meno di una grande Messa celebrata bene, con tutto quanto le è proprio (solennità, rito, canto…).
Che peccato che si arrivi talvolta a sopprimere tutti i gesti e gli atteggiamenti della Messa! Quando invece sarebbe necessario non soltanto l’espressione corporale del celebrante ma anche quella di tutta l’assemblea.
Certo, questi gesti debbono essere gesti di preghiera, ma non preghiamo solo con la bocca, preghiamo con tutto il corpo. Gli handicappati mentali saranno tanto più a loro agio nell’associarsi alla celebrazione, persino nel liquidarla, quanto più ci impegneremo dalla testa ai piedi.
Il clero
Sarà dunque il clero, con il suo atteggiamento, che influirà su quello della comunità. Bisogna però rendersi conto che se un sacerdote non ha avuto l’esperienza di una persona con handicap mentale in famiglia o tra i parenti, si sente un po’ perso, almeno ai primi contatti, se non è preparato a questo incontro. L’esperienza prova che in seguito sarà spesso il sacerdote il più contento e il gran beneficiato da questo incontro e dall’amicizia così fedele dell’handicappato mentale. E chissà che non vi trovi l’occasione per purificarsi e rinforzare la sua fede mentre riconsidererà il suo stesso modo di andare verso Dio.
I genitori
Quanto ai genitori, ci auguriamo che sappiano vincere il rispetto per le buone maniere usuali, del resto molto comprensibile, o, più semplicemente, la timidezza, la paura di essere importuni. Osando, renderanno un servizio. Uno di essi scrive di suo figlio: “bisogna che egli testimoni per il mondo dei disadattati mentali, che apra la strada a quelli più perturbati di lui, affinché il popolo cristiano si abitui a sopportare ad amare le persone handicappate malgrado un po’ di disagio che qualcuno di loro può recare durante la celebrazione eucaristica”.
E bisogna che i genitori vogliano accettare, almeno all’inizio, gli errori di comportamento dell’ambiente parrocchiale, gli atteggiamenti sbagliati, le parole inopportune; l’assemblea eucaristica non deve forse essere il luogo per eccellenza di un’accettazione incondizionata dell’altro, ma anche della sua educazione all’amore?
Può darsi anche che in casi estremi un ragazzo molto agitato e perturbato troverà più facilmente il suo posto in una celebrazione eucaristica più ristretta.
Cosa dire della Messa per televisione?
Pensiamo che un handicappato mentale difficilmente immagini che sia una vera Messa. Egli troverà impossibile con questo mezzo entrare in contatto con la comunità e con Dio stesso. Sarà tranquillo magari ma raramente attivo e partecipe. E potrà comunicarsi solo con il desiderio…
In conclusione crediamo che si debba fare di tutto perché la persona handicappata possa partecipare alla Messa e alla Messa “di tutti”. Certo, se si ritiene che per un handicappato mentale profondo questa partecipazione effettiva sia del tutto impossibile, bisognerà ricordare che c’è un’Eucarestia di desiderio. Il desiderio, per confuso che sia, che un handicappato mentale può avere, riveste certamente agli occhi di Dio un valore profondo, e ancor di più il desiderio dei genitori. “Il mio desiderio, scrive un papà, è di aiutare mio figlio a crescere nella fede, rispettando il suo ritmo e i suoi modi di esprimersi, accettando anche di lasciarmi interrogare dalla fede stessa”.
In questa visuale, per gli handicappati mentali che non hanno ancora potuto e forse non potranno partecipare all’Eucarestia, come per la loro famiglia, la vita può essere in ogni caso una Messa.
Da una conversazione del padre Henri Bissonier, tenuta in Francia presso L’Officie Chrétien Inadaptés (O.C.I)
Il Padre Henri Bissonier è senza dubbio un’autorità nel campo della catechesi delle persone con handicap mentale.
Ha scritto molti libri e articoli, ha insegnato in numerose università, ha fondato e diretto Movimenti nazionali e internazionali di persone con handicap.
Ma non ha fatto solo teoria: provato, fin da bambino, nella malattia, a diciannove anni scopre, nei grandi sanatori delle Alpi, l'esclusione sociale e la desolazione spirituale del mondo dei malati.
Fin dalla sua ordinazione nel 1935, impegna tutta la sua vita di sacerdote in una lotta quotidiana per la difesa dei diritti delle persone con handicap, per il riconoscimento della loro dignità, per il loro inserimento nella vita sociale e nella comunità cristiana.
È stato il pioniere in Francia della catechesi delle persone handicappate entrando con tutta la forza della sua speranza e la sensibilità del suo cuore nel mondo triste e chiuso di un ospedale pubblico dove «vivevano» delle giovani e delle ragazze handicappate mentali.
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n. 1, 1983
SOMMARIO
Editoriale
Ombre e Luci? di Marie Hélène Mathieu
Editoriale n.1
Articoli
L’esperienza della solitudine di Jacqueline e Henri Faivre
Difficoltà loro o nostra? di Henri Bissonier
Ti aspetto sempre di Jean Vanier
Il Chicco: una casa per Fabio e Maria di Anna Da e Guenda Malvezzi
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Il dolore innocente - Un handicappato nella mia famiglia, G. Hourdin
Darti la vita, J. Carrette