Avviso: inchieste promosse dall’Arca internazionale hanno accertato gravi responsabilità di padre Thomas Philippe (la prima nel 2015) e di Jean Vanier (2020) nei confronti di diverse donne. Qui il comunicato più recente che condanna senza riserve queste azioni «in totale contraddizione con i valori che Vanier sosteneva» e con «i principi fondamentali delle nostre comunità».

Il posto della persona handicappata nelle nostre comunità

La vera festa nasce dall’ascolto: il valore dell’incontro autentico

Giorni fa, sono stato invitato ad una « giornata per i malati ». Dopo la Messa ci siamo ritrovati nella sala parrocchiale, circa 150 persone; vecchi, ciechi, malati, quelli che si è soliti chiamare « i poveri ».

Per animare la festa c’erano dei giovani che hanno suonato, cantato, presentato uno spettacolo. Era bello ma molto triste: il ragazzino cieco non vedeva niente; una vecchia signora di circa 90 anni, non capiva gran ché delle scenette; una ragazzina in sedia a rotelle, era lì, spettatrice passiva.

Non era una vera festa perché si era passati accanto all’essenziale.
Il ragazzino cieco aveva voglia di raccontare una storia, la vecchia signora avrebbe voluto cantare una canzone della sua gioventù; la ragazzina in sedia a rotelle, avrebbe voluto partecipare a un gioco.

Certamente era una festa per i giovani, che erano felici di essere lì per offrire qualcosa ai bambini handicappati e alle persone anziane; ma questi ultimi, ancora una volta nella loro vita, non avevano avuto nient’altro da fare che ricevere passivamente; sarebbero stati invece così contenti di partecipare e offrire qualcosa di sè.

Il principio di una festa è molto semplice; basta saper ascoltare il messaggio di pace, di gioia, di speranza che il più povero può dare. Quando ci si incontra, non si tratta di fare cose, ma di stare attenti affinché tutti siano in festa.

Nel mondo di oggi siamo tutti così presi dalla fretta, dal chiasso; « facciamo delle cose » e così abbiamo perso il senso del ritmo lento. Alla sera siamo così stanchi, estenuati, che la televisione ci sembra l’unica distrazione possibile. Passiamo direttamente all’iperattività all’immagine; così facendo, spazziamo via da noi il mondo della tenerezza e dell’ascolto; atteggiamenti dimenticati, sconosciuti, rifiutati perché non abbiamo più né tempo né forza… Non sappiamo più ritrovarci a tavola, parlare tranquillamente, ascoltare gli altri.

In un mondo siffatto, Fede e Luce vuole educarci al ritmo del « più piccolo » perché possiamo ascoltare il suo messaggio di calma, di tenerezza, di ascolto. Non è quindi importante il «fare» ma il «modo di fare», la qualità dell’incontro.

Per saper ascoltare il messaggio di chi per comunicare ha solo un dito per battere a macchina, bisogna saper passare molto tempo accanto a lui. Di fronte alla sofferenza, siamo spesso maldestri, non sappiamo come reagire: allora ci diamo da fare, ci agitiamo, oppure, al contrario, ci turbiamo, siamo presi dalla pietà.
Quello che dobbiamo fare, invece, è insieme semplice e difficile: basta fermarsi, guardare la persona handicappata, lasciare che sia lei ad insegnarci il suo modo di esprimersi; solo in un secondo tempo possiamo cominciare a comunicare con lei, aiutarla a vivere e a scoprire la bellezza del suo essere.

Qualche volta, questo linguaggio, è espresso da un grido. Giorni fa, in una casa dell’Arche, all’improvviso siamo stati turbati dalla violenza di un uomo che ha cominciato a menare colpi attorno a sé. Se guardiamo la storia di quest’uomo, veniamo a sapere, che dalla nascita è stato sempre rifiutato, messo da parte, non ascoltato, trattato da pazzo: per questo è rimasto ferito nel profondo, avvilito; per questo c’è qualcosa di spiegabile nella violenza che esprime. Chi vive con lui, deve percepire quanto vi sia di giustizia in quel gridare a suo modo il non essere mai stato amato, accettato, ascoltato…

Mi sembra che Fede e Luce può aiutarci a capire quanto si nasconde nel cuore della persona handicappata; la riuscita dipenderà dalla qualità dell’ascolto, dalla qualità della speranza, dalla qualità dell’incontro.
Quando Gesù ha detto: « Avevo fame e mi hai dato da mangiare », voleva dirci che la cosa più importante non è il dar da mangiare, ma il modo di darlo; l’incontro si fa attraverso questo modo.
Se vogliamo essere veri portatori dello Spirito Santo, dobbiamo accettare di ascoltare l’emarginato e solo dopo lasciarci mettere in causa. È spesso molto più facile fare progetti per lui piuttosto che ascoltare i suoi progetti e aiutarlo a realizzarli.

Fede e Luce è anche un gruppo di persone che si amano, si conoscono, cercano di vivere nella realtà quotidiana il messaggio del Vangelo. La festa suscita l’incontro, l’incontro permette di ascoltare, l’ascolto ci fa scoprire che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri e a questo punto ci si impegna l’un l’altro. Così allora, si creano delle piccole comunità, segni di un’amicizia sicura, impegnata, alla quale partecipano non solo i genitori e le persone handicappate, ma i giovani amici, quelli che chiamerei i « determinati » e i « non determinati ». I non determinati sono i giovani, che sono in ricerca, pieni di vitalità; i determinati sono quelli che hanno una vita già organizzata. Dal loro incontro scaturirà ogni sorta di idee e poi di realizzazione!…

Dunque importante formare delle vere comunità, dove si sa ascoltare la canzone della vecchia signora, dove si è attenti al « più piccolo », al più povero: dove ci si ritrova nella gioia, dove si celebra l’Eucarestia attorno a Gesù crocifisso e resuscitato. Lui che ha trasformato completamente i valori e ci ha fatto scoprire che le ferite più grandi possono essere fonte di grazia e che la gioia è un dono di Dio.

Jean Vanier

Il posto della persona handicappata nelle nostre comunità ultima modifica: 1981-12-20T14:00:34+00:00 da Jean Vanier

Jean Vanier
Dottore in filosofia, scrittore, leader morale e spirituale e fondatore di due importanti organizzazioni internazionali basate sulla comunità, "L'Arca" e "Fede e Luce", dedicate alle persone con disabilità, soprattutto mentale. Inchieste promosse dall’Arca internazionale hanno accertato gravi responsabilità di padre Thomas Philippe (la prima nel 2015) e di Jean Vanier (2020) nei confronti di diverse donne. Qui il comunicato più recente che condanna senza riserve queste azioni «in totale contraddizione con i valori che Vanier sosteneva» e con «i principi fondamentali delle nostre comunità».

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