Ho in mano una lettera che mi ha fatto riflettere. Eccone qualche passo: « Fra i ricordi luminosi di questa manifestazione così impressionante, ricordo un fatto che mi ha particolarmente colpito: la gioia che emanava e si comunicava da parte di centinaia di sacerdoti che, con i giovani, circondavano le persone handicappate e i loro genitori… Mi sono poi chiesto come mai, di fronte a tanta miseria, fatica e difficoltà d’ogni genere, i sacerdoti fossero così profondamente sereni. Davano letteralmente l’impressione di camminare sulle acque, trasportati da una gioia indicibile… ». Perché? Forse perché i sacerdoti amano la miseria o la sofferenza?

Al contrario, esse sono un male. Quando si conoscono le persone handicappate mentali, quello che ci meraviglia come sacerdoti, non è la sofferenza ma il loro modo di accoglierci. È un segno caratteristico in molti di loro: « Ciao, come ti chiami? ». La gioia di incontrarci non per ciò che facciamo ma per quello che siamo: un prete, Francesco o Pietro.

Per quasi vent’anni, molti sacerdoti hanno avuto difficoltà a stabilire il loro ruolo, la loro identità. Sono diventati competenti in molti settori cercando così di trovare il loro posto e di dimostrare che sono utili. Nello stesso tempo, hanno dovuto rinnovare la liturgia e inventare nuovi modi di esprimersi. I risultati non sono stati molto entusiasmanti.

In fondo, il prete è un uomo povero, con mezzi altrettanto poveri: il pane, il vino, l’acqua, la croce vinta da un uomo resuscitato, che è Dio. Il messaggio di Gesù è così semplice e così povero e, agli occhi del mondo ricco, inefficace!

A Lourdes i preti hanno potuto essere ciò che sono: degli uomini di Dio in tutta semplicità. Siamo formati per questo ma, molte volte, avvertiamo che gli uomini ci chiedono altre cose.

Poter confessare il Sabato Santo, dare il perdono del Signore, offrire la comunione a migliaia di mani aperte che desideravano ricevere il Salvatore, tutto ciò ci ha dato fiducia, ci ha ridato piena coscienza della nostra identità di prete.

Questa è la ragione profonda della nostra gioia: abbiamo potuto vivere la vocazione, il compito che il Signore ci ha affidato, sentirci strumenti del Cristo.

Dio, attraverso i più poveri, ci mostra il posto che dobbiamo occupare e ci dà la fonte della gioia e della speranza.

Jorgen Hviid, sacerdote
assistente internazionale di Fede e Luce

Gioia di essere sacerdote ultima modifica: 1981-12-20T12:55:34+00:00 da Redazione

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