Marzo 1981
Non avere paura poiché io ti ho riscattato.
Ti ho chiamato per nome, tu sei mio.
Se attraverserai le acque, io sarò con te
e le onde non ti sommergeranno. (Isaia 43, 6)
I monti crolleranno
e le colline si sconvolgeranno
ma la mia bontà non si ritirerà da te
e il mio patto di pace non sarà rotto. (Isaia 54, 6)
Ritornate a Yahvé, vostro Dio
poiché egli è misericordioso e compassionevole
lento all’ira, ricco di bontà
e gli dispiace castigare. (Gioele 2, 13)
La comunità è il luogo del perdono. Malgrado tutta la confidenza che si può avere gli uni con gli altri, ci sono sempre delle parole che feriscono, delle occasioni dove uno vuol mettersi avanti, delle situazioni dove le suscettibilità si urtano. E’ per questo che vivere insieme implica una certa croce, uno sforzo costante ed una accettazione che è perdono reciproco ogni giorno.
Jean Vanier “La comunità luogo di perdono e di festa”
“Presentare a Dio le nostre ferite”
Il Padre Bro, in una conferenza a Notre Dame, racconta questa bella storia:
“Un principe possedeva una pietra preziosa magnifica di cui era molto fiero. Un giorno, per un incidente, questo gioiello si rigò profondamente. Il principe convocò allora i più abili specialisti per farlo riparare. Ma malgrado tutti i loro sforzi non riuscirono a togliere la rigatura. Arrivò allora nel paese un incisore di pietre di bravura ineguagliabile. Con arte e pazienza egli incise nel diamante una magnifica rosa utilizzando per il gambo la stessa rigatura, e fu talmente abile che la pietra preziosa divenne infinitamente più bella di prima”.
Quante volte ho visto delle persone piangere confessandosi e dolersi: “Ho fatto la bestia”, “sono disgustato di me stesso”, “sono di nuovo sceso così in basso”. Ma il più delle volte mi è sembrato che rimpiangessero la loro miseria più che l’aver offeso Dio.
In fondo, noi non accettiamo di essere quello che siamo, fragili e peccatori, portati cioè ad allontanarci dal sentiero che il Signore amerebbe vederci seguire.
Ci perdiamo di coraggio non appena un nostro difetto ci fa cadere. Ci sono addirittura dei cristiani che rinunciano a ricevere il Sacramento della Penitenza ….perché si ritengono indegni! Come se un malato aspettasse di stare meglio per consultare il medico.
Invece è proprio partendo dalla nostra miseria che Dio può scavare in noi quella che si chiama umiltà: il senso della nostra fragilità, della nostra povertà. Come nella storia raccontata innanzi, questo è il momento in cui Egli potrebbe mettersi a fare qualcosa di solido e di bello quando, scoperta la nostra debolezza, lo pregheremo di fare in noi ciò che non arriviamo a fare da soli. Così come si scavano le fondamenta quando si costruisce una casa.
Non sono belli i nostri peccati, questo è sicuro. Essi hanno però la prerogativa di renderci consapevoli della nostra fragilità e di invitarci a confidare in chi è più abile di noi.
Come il bambino che impara a camminare: di caduta in caduta, a forza di cadere egli realizza che da solo non può fare, ed allora prende volentieri la mano che gli viene tesa e che l’aiuterà a reggersi sulle sue gambe.
Dobbiamo riconoscere che siamo deboli per arrivare a diventare forti per mezzo della forza dello Spirito Santo. Dobbiamo ritrovare questa delicatezza che ci fa domandare il perdono delle nostre colpe, anche se non sono gravi: per dimostrare al Padre quanto vorremmo amarlo meglio. Ci guadagneremo anche: a partire dalla scalfittura, dalla nostra fragilità riconosciuta, confessata, rimpianata Dio si metterà a scolpire in noi il fiore, in cima al gambo dell’umiltà.
Padre Hubert Damien
Suggerimenti
- Trovare nel Vangelo lo sguardo di Gesù che ama e che perdona (Zaccheo, la donna adultera, il giovane ricco….). Come, anche per noi, uno sguardo, un gesto dicono molto di più delle parole?
- (Cf. tema n° I) Ci siamo sbarazzati di qualche bagaglio inutile?
- Perché non una cerimonia penitenziale preceduta o seguita dal Sacramento della Riconciliazione?
Questo articolo è tratto da:
Insieme Giallo – Speciale Verso Pasqua 1981