Questo articolo fa parte dello Speciale Fede e Luce anatomia di una comunità di incontro.
Chi è l’altro
L’altro sei tu per me, ed io per te. è ogni persona. è colui che viene messo in mostra e colui che viene nascosto. L’altro non è colui che mi attira, ma colui che incontro e che mi salva, perché fa sorgere in me l’ascolto e la fiducia.
A Fede e Luce incontriamo:
A. Persone handicappate mentali
In fatto d’incontro Giorgio non ha gli handicap della maggior parte delle persone “normali”. Lo rivedo mentre, urlando di gioia, tira per la manica il Vescovo di Loreto che ha difficoltà a seguirlo nel suo slalom tra i tavoli dei pellegrini.
Parlo di Giorgio, ma potrei parlare di Thierry, di Michèle, di Raymond, di Annick…
L’errore che commettiamo quando parliamo di persone ferite nell’intelligenza, è di parlarne al plurale chiamandoli “gli handicappati”, mentre sono delle persone, ed ogni persona è unica.
Quando ho pensato a quello che dovevo dire oggi, ho lasciato questa pagina in bianco fino all’ultimo minuto. Come trovare parole che esprimono un viso, un sorriso, una ferita, un silenzio? E poi, in fondo, è necessario? Non basta abbracciare, sorridere, far silenzio?
Molti di voi si ricorderanno la sera in cui eravamo in riunione a Rue Serret. Stava facendo buio senza che ce ne accorgessimo. Ad un tratto è stato necessario che Jean Pierre si alzasse per accendere la luce affinché vedessimo meglio ciò che stavamo facendo, e potessimo vederci meglio gli uni gli altri…..
Per vedere la bellezza dell’altro, con troppa facilità gli domandiamo di cambiare e di essere un altro. Ma non pensiamo ad aprire i nostri occhi.
Non dobbiamo aver paura ad aprirli….. Forse una carezza di Christophe potrà finire in un pugno, al momento del pranzo Paul fuggirà urlando che non ha fame, Eric avrà una predilezione per gli oggetti fragili….. Ma la violenza e la fuga esprimono la stessa domanda: “M’ami veramente?”
Per ascoltare il grido dell’altro, aspettiamo sempre che lui parli più forte, ma non pensiamo mai a parlare noi meno forte.
B. I genitori
Le famiglie sono anch’esse presenti a Fede e Luce, ognuna con la propria storia e il proprio segreto.
Mi ricordo di un papà che – senza dir niente a nessuno – venne a fare la sua prima comunione nello stesso luogo in cui suo figlio, due anni prima, aveva fatto la sua durante un campo Fede e Luce.
Sento ancora la voce della mamma di Gianluca, con la mano posata sulla cassa in cui riposava il corpo di suo figlio, mormorare: “Posso dire che sono fiera di aver avuto un figlio come lui?”
Penso a quella giovane coppia che mi ha rincorso mentre stavo andando via alla fine di un ritiro: “Padre, vorremmo farle vedere una foto di nostra figlia…”
Ho nelle orecchie gridi e silenzi che non dimenticherò mai.
Prima di parlare della lezione di speranza che ho ricevuto dai genitori, dovrei evocare la loro sofferenza. Ma non mi sento autorizzato a parlare al loro posto della loro paternità e maternità ferite. Preferisco che siano essi stessi a dire cosa è stata la loro scoperta dell’handicap del loro figlio, quale solitudine hanno provato, poi, nel più profondo di loro stessi, e nella vita che spesso sono stati costretti a condurre.
È una solitudine spesso drammatica. A volte dura anni interi. Per conoscerne le conseguenze bisognerebbe averla provata. è difficile porre un termine a questa solitudine e molti genitori finiscono per rassegnarsi a tal punto che sembra loro impossibile che le cose possano cambiare.
C’è la paura di nuove delusioni, la mancanza di fiducia, il riserbo di fronte all’altro, l’aggressività che allontana, le troppe sofferenze vissute da soli di fronte al silenzio e, a volte, all’abbandono totale degli “altri”.
In queste condizioni l’incontro è un momento delicato, soprattutto all’inizio: invitare ad una festa, a una messa, ad un incontro Fede e Luce, suppone che si sia già fatta conoscenza, che si abbia avuto il tempo di dirsi: “Vieni… Prova… mi occuperò di tuo figlio… starò con te… verrò a prenderti…”.
E ciò è possibile solo se, da parte loro, i genitori hanno lasciato filtrare una corrente di fiducia, se hanno accettato di fare il passo “per vedere” se ciò che abbiamo, malamente, cercato di spiegare loro, è vero.
Se questo passo è fatto, i genitori diventano a loro volta portatori di speranza nei confronti di amici e di altri genitori.
Nello scorso Giugno, i gruppi Fede e Luce di Marsiglia si sono riuniti per una giornata intera. Nel pomeriggio abbiamo celebrato la messa. Alcuni genitori, venuti per la prima volta, erano rimasti in fondo alla cappella: “Nostro figlio disturba…” Una mamma li ha invitati ad avvicinarsi: si ricordava di come lei era stata accolta qualche mese prima, e sapeva che a Fede e Luce nessuno “disturba” nessuno.
C. Gli amici
Gli amici sono soprattutto giovani, ma l’amicizia non ha età. A volte arriva una famiglia intera. Spesso tra gli amici ci sono persone colpite da un handicap fisico.
Non anime caritatevoli, né educatori della domenica, gli amici non sono neanche benefattori che si sacrificano per gli “handicappati”, mentre i genitori, seduti a braccia conserte, ripetono tra loro: “Che bravi questi ragazzi!”
All’inizio gli amici venivano forse “per aiutare”. E poi, subito, hanno scoperto di aver bisogno di essere aiutati. Essi sanno che è donando che si riceve.
Alla fine di un incontro Michèle mi ha detto: “è straordinario”. Era sfinita per aver seguito Didier che aveva corso tutto il giorno. Ma ritornerà senza battere ciglio la prossima volta, per vivere qualcosa di “vero” che né lei né io sapremo mai spiegare.
Perché incontrare l’altro è anche imparare con lui a poco a poco cos’è la fedeltà. Se vengo a Fede e Luce solo quando “mi va”, per realizzarmi, per ritrovare un’amica o per occupare il tempo libero, rischio molto presto di non venire più. Basterà un esame da riparare, un semplice cambiamento di casa per far sparire completamente dal mio orizzonte, con tutte le delusioni che ciò comporta, tutte quelle persone che cominciavano ad avere fiducia in me.
L’importante è essere “veri”. La fedeltà è fatta di un rispetto reciproco dell’altro, con le sue esigenze e i suoi bisogni del momento.
L’incontro diviene sorgente di vita per ognuno solo il giorno in cui io scopro il richiamo profondo che il povero ha in sé e il giorno in cui scopro che egli può guarirmi dal mio egoismo e dalla mia paura.
“AMICO perché vieni? – Perché sei tu, perché sono io! CHI CERCHI? – NOI!”
D. Il pastore (se possibile un sacerdote)
Umile testimone di una speranza contro ogni speranza, ci aiuta a credere nell’altro al di là di tutto quanto potrebbe farci dubitare di lui. A Fede e Luce, il sacerdote non è né responsabile, né vaso da fiori! Egli è sacerdote.
Ho conosciuto gruppi in cui il responsabile non poteva dire una parola senza voltarsi verso il prete per sapere che cosa ne pensava; ne ho conosciuti altri dove, al contrario, la sola cosa che si permetteva al prete era di dire “Alleluia” prima di augurare il Buon appetito.
Tra questi due casi limite, tocca ad ogni comunità e ad ogni sacerdote scoprire il proprio posto.
Servitore della grandezza dell’altro, il sacerdote testimonia nella comunità l’amore di Gesù Sacerdote.
Uomo d’ascolto si lascia evangelizzare da “loro”.
Leggi il prossimo articolo dello speciale: 4. La vita comunitaria – Costruire “comunità”: i 3 pilastri di fede e luce
Luis Sankalé, 1980
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.24, 1980