Questo articolo fa parte del Focus: gli adulti profondamente handicappati, alcune testimonianze
Come saremmo stati se Monica, la nostra cara piccola, non si fosse rivelata già dai primi mesi di vita un esserino debole e indifeso e dipendente sempre da noi?
Siamo spesso portati, mio marito ed io, a fare di queste riflessioni, quando, alla fine di una laboriosa giornata, ci ritroviamo a scambiare ci i nostri pensieri.
Cerchiamo a volte di leggere | dentro di noi per ritrovare tutte le spiegazioni ai nostri perché.
Penso che per essere buoni genitori, prima di tutto bisogna amare Dio profondamente.
L’amore verso Dio e più ancora di Dio verso noi, ci da una visione esatta dell’amore che dobbiamo all’altro, al nostro prossimo, dal più misero uomo di questo mondo alla persona più cara che è nostro figlio.
No, io non ho sempre amato Dio!
Nel momento in cui Monica nascendo ha avuto bisogno di noi, della nostra vita stessa, l’abbiamo amata sì, con tutto il cuore, ma io mamma non la volevo così.
Ogni giorno, ogni ora, cercavo disperatamente pur amandola tanto, di cambiarla, di infondere in quel cervello ferito, gli impulsi che sarebbero valsi a farlo funzionare e a darmi quello che non mi poteva dare.
Inutile descrivere l’agonia di quelle ore che tutti abbiamo passato, posso però dire che quella mia disperata ricerca di un risultato immediato ai miei sforzi, era diventato un assillo.
La mia pace, l’armonia della famiglia, quella atmosfera di serenità che è così confortante per un marito e per un figlio che tornano alla propria caga, non esisteva più.
Andrea, di un anno o mezzo più grande di Monica; secondo il mio punto di vista sbagliato, doveva comportarsi come un adulto e darmi anche un aiuto, ed avere comprensione per la sorella; quando anche lui aveva tanto bisogno di sentirsi bambino.
Come si può pretendere questo da un piccino che forse nemmeno avverte la differenza tra lui e la sorella specialmente quando esiste (e c’era) un legame affettivo così forte?
E mio marito così comprensivo e paziente, cercava sempre di vedere attraverso questo mio comportamento e mi aiutava nel rendermi giorno per giorno sempre più cosciente di quello che Dio aveva voluto da noi?
Ma, non basta gridare nelle orecchie ad un sordo per rendergli l’udito!
Il mio orgoglio ferito, la certezza di aver inflitto una grossa delusione a mio marito perché mi ritenevo quasi responsabile di questa nascita, il rendermi conto che la mia casa piano, piano, veniva disertata dai parenti; degli amici, che forse imbarazzati e non sapendo come comportarsi di fronte a me e a mio marito, per non ferirci preferivano ignorarci: quel legame, quell’impegno pesante di accudire mie figlia che ogni giorno) ogni ora diveniva sempre più gravoso, mi facevano sempre più nervosa e irascibile.
Quanto del nostro matrimonio così prezioso, ho sciupato in questa atmosfera di tensione!
Altre delusioni si sono aggiunte, altre lotte abbiamo sostenuto per ottenere una struttura che la potesse accogliere.
La fiducia negli uomini che andava di giorno in giorno scemando; mi toglieva la fede in Dio.
Dio che ci era tanto vicino, che ci amava, che si voleva mostrare a noi attraverso Monica, e noi non lo sapevamo vedere.
Gli anni sono passati così, nell’angoscia!
Quante volte non ne potevamo più!
Davamo amore ai nostri figli, ma era un amore condizionato dal patimenti che si subivano.
Andrea mi impensieriva perché cresceva timido e chiuso e Monica mi faceva pena. A me, a sua madre, faceva pena!
Conoscemmo gli amici di Fede e Luce e dietro loro invito andammo ad Assisi.
Ad Assisi fu la luce!
Ancora oggi non mi rendo conto di avere così da un momento all’altro cambiato tutta la mia vita, costruita in tanti anni di pene e di grigiore (così mi sembrava).
Capimmo finalmente che Dio ci aveva mandato Monica con un compito speciale, particolare: quello di prenderci per mano e condurci a lui che per tanti anni ci era stato vicino come a dei figli prediletti e, a nostra insaputa, ci aveva inviato il suo richiamo. E noi l’abbiamo accolto con gioia.
L’amore che portiamo ora ai nostri figli è fatto di comprensione ed è illuminato da quella Fede che gli uomini ci avevano soffocato dentro.
Accettiamo e amiamo i limiti di Monica e le diamo quello che lei stessa richiede.
Amiamo Andrea e siamo disponibili per qualsiasi sua mancanza non lesinando consigli, ci sforziamo di comprenderlo anche se qualche volta lui non vuole.
Per troppo tempo ha vissuto anche lui nell’assillo dei nostro problemi, per essere pronto a questo cambiamento. Ma noi confidiamo in Dio e siamo certi che in fondo ci ha capiti e ci ama anche lui di un amore più completo.
La sera, quando mio marito ed io ci incontriamo e ci prendiamo idealmente per mano per percorrere insieme il nostro cammino veramente unito, sentiamo dentro di noi l’amore che ci hanno dato gli amici di “Fede e Luce”, gli artefici di questa nostra responsabilità nuova.
Sono stati loro con la loro costanza e dedizione a scoprire in noi quei valori umani che ora con loro vorremmo far conoscere ad altri.
A quei genitori ai quali manca la serenità di un vero rapporto familiare; che, come noi un tempo, amano senza gioia, perché con egoismo, come noi, si accorgono solo di quello che di futile manca loro e non vedono il dono grande che hanno nel sorriso del loro figlio.
No, anche noi non siamo stati buoni genitori, ma lo saremo sempre d’ora in poi, con l’aiuto di Dio e dei nostri amici, e con loro vogliamo essere testimoni della riscoperta di Dio nei nostri figli feriti e deboli, che ci sono stati inviati da Lui con il più bello e il più grande dei compiti: il potere della nostra resurrezione alla Fede.
L’incontro di Cuneo, come Assisi, anche se in uno spirito diverso ha una volta di più accresciuto il mio gaudio con la fratellanza ineguagliabile che caratterizza gli incontri Fede e Luce.
Il vedersi è come rivederci, la partecipazione ad un sorriso timido, la stretta ad una mano inerte, ci coinvolge tutti dell’altrui problema e ci fa sentire genitori di tutti e prodighi di amore per tutti. E tanto bene riceviamo che vorremmo gettarlo ai quattro venti perché inondi ogni più buia spelonca, consoli ogni più triste creatura e spunti i germogli dell’amore più puro nel nostro cuore indurito dall’egoismo di questa vecchia terra che esiste perché esiste Dio.
Maria Varoli, 1979
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.22, 1979