Parlare in due pagine dell’educazione dei bambini cosiddetti “lievi” è molto pretendere. Fare una classifica generale è del tutto contrario a quello che non ci stanchiamo di ripetere: ognuno è unico, ogni famiglia è diversa, nessun caso è simile ad un altro; nessuna soluzione è valida direttamente per il vicino; ogni bambino deve essere orientato secondo i suoi particolari bisogni.
Per questo, in un primo momento; avevamo pensato di rinunciare a parlarne in termini generali.
E poi ci è sembrato veramente impossibile tralasciare in questo numero l’immenso e fondamentale problema dell’educazione.
Speriamo che l’impressione di generalizzare sia corretta dal posto importante dato alle testimonianze individuali che seguono e, una volta di più, aspettiamo volentieri critiche e controproposte.
Queste righe non vogliono essere parole di vangelo. Esse riflettono il risultato dell’esperienza e il desiderio di ricerca.
Eccole a voi esposte in modo schematico 1Queste idee sono riprese da un esposto della rivista. “Epanouir (N.93 – marzo 1978) rivista dell’Associazione francese dei genitori dei bambini disadattati.
Le nostre idee hanno come punto di partenza un postulato: l’handicap esiste ed è riconosciuto. Esiste nel regno vegetale, nel regno animale, e nell’essere umano. Questo handicap è, il più delle volte, irreversibile. Di conseguenza non deve essere ignorato, tenuto nascosto, ma al contrario diagnosticato per essere compensato nel miglior modo possibile.
È da questa visione realistica delle cose che si passa al concetto di una educazione che chiameremo specifica per evitare il termine mal capito di educazione speciale.
Perché questa educazione deve essere “specifica”? La risposta può formularsi così: per definizione, un handicappato non dispone di tutti i mezzi intellettivi, manuali o sensoriali, o anche, affettivi,
A volte le deficienze sono di diverso ordine e si sommano. Sembra dunque indispensabile cercare metodi educativi, definire principi pedagogici che permettano ad ognuno, nella vita di bambino e di adolescente di avere la possibilità di acquisire il massimo in funzione delle sue possibilità.
Il primo passo dell’educatore deve consistere nella ricerca dei bisogni fondamentali del bambino.
Certo, un essere umano non può essere considerato diviso a compartimenti, ma bisogna ugualmente cercare di analizzare questa realtà complessa per orientare efficacemente un’azione educativa.
Si tratta di assicurare al massimo le acquisizioni senso-motorie: si tratta essenzialmente dell’acquisizione
- delle sensazioni e delle percezioni visive
- dei suoni e delle percezioni uditive senza le quali non è possibile lo sviluppo del linguaggio normale
- delle sensazioni tattili e muscolari
- delle sensazioni olfattive e gustative
Si tratta di sviluppare le possibilità motorie
- motricità larga
- motricità fine o manuale
Con tutto ciò che questo comporta di progresso nel tempo e nella coordinazione.
Si tratta anche di sviluppare le qualità intellettive, in primo luogo, e condizione di ogni apprendimento, la facoltà di attenzione. Essa è infatti il supporto di tutte le altre facoltà. Ma anche le possibilità di riflessione, di ragionamento , di comprensione anche se esse sono alterate, possono e debbono essere sviluppate partendo dal loro livello.
Bisogna aggiungere l’importanza pratica della memoria e tutto quanto concerne il situarsi nel tempo e nello spazio.
Ma è fuori di dubbio che tutte queste acquisizioni sono strettamente legate alla vita affettiva e sociale di ogni bambino.
Sul piano affettivo bisogna considerare il grado di maturità individuale, della presa di coscienza di se stesso, del proprio valore, delle proprie utilità nei confronti della famiglia, del vicinato e al di sopra di tutto, in rapporto al grado di accettazione dell’handicap. I bisogni, che si esprimono in termini di valorizzazione in opposizione agli atteggiamenti di fallimento, di espressione – non solamente verbale che a volte fa difetto, ma anche attraverso il corpo, sono fattori importanti per l’integrazione.
Sul piano sociale poi, non bisogna dimenticare le qualità di autonomia e d’indipendenza, essenziali per divenire adulto.
In breve, gli scopi essenziali dell’azione educativa possono riassumersi:
Lo sviluppo armonioso della persona del bambino che trova il proprio equilibrio e la sua dimensione personale e la preparazione ad una vita il più possibile autonoma.
E, per finire, ed è questo un aspetto da non trascurare, una tale educazione sarà possibile e utile solo se realizzata in collaborazione con i genitori.
Tutti devono essere convinti che un bambino handicappato può divenire un adulto sereno di vivere così com’è solo se genitori ed educatori metteranno i loro sforzi, le loro pene, e perché no, la loro gioia in comune.
Nicole Schulthes, 1979
Se i bambini gravemente handicappati ci forzano a vivere contro corrente della società in cui viviamo, come dicevamo nell’Insieme precedente, i bambini cosiddetti “handicappati lievi” ci chiamano a seguire la corrente, ma a loro ritmo, ad integrarsi in questa società, purché a certe condizioni ed entro certi limiti. Allora abbiamo preso là decisione ancora ima volta di offrire delle testimonianze individuali per non cadere nell’astratto o nella generalizzazione.
Genitori ed amici hanno di nuovo la parola. Abbiamo cercato di ridurre al massimo i discorsi generali per far posto soprattutto ad esperienze vissute.
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.21, 1979