Il mio ragazzo ha quasi trentaquattro anni, io ne ho veramente molti. Lui ha ancora bisogno di me, e questa è la preoccupazione maggiore. Come ognuno di noi, ha superato tutte le tappe dell’età: piccolo, ragazzo e ora uomo.
Ho spesso baratto con me stessa, sapendo di farlo, per darmi coraggio ed insistere per cercare di migliorarlo. È abbastanza autonomo, di buon carattere ed ha molti amici che frequenta regolarmente.
Cercando di guardare in faccia la realtà mi sono convinta che le cose più importanti per lui sono: l’amicizia e il lavoro. Per me: il FUTURO.
Per più di dieci anni è stato occupato in un laboratorio cosiddetto “protetto”, ed il risultato è stato che è in grado – sempre partendo dal presupposto: il posto adatto alla persona – di lavorare con profitto; ma, i dieci anni passati, ai fini di una qualifica, non sono serviti.
Attualmente frequenta un centro di Formazione Professionale, prassi che deve seguire per aver “diritto” a un lavoro, ma quando sarà possibile avere questo lavoro?
Essere occupato, sentirsi accettato, venire pagato è per lui l’unica terapia. Sono convinta che chi può deve lavorare, deve essere messo in grado di farlo, poiché solo così sarà un recupero di forze lavorative a vantaggio dell’intera comunità e per la dignità cui ha diritto.
Quello che io chiamo il FUTURO è il più difficile da accettare e da risolvere. Soprattutto i genitori degli adulti mi capiranno! Questa è l’incognita cui le forze di tutti devono convergere con coraggio e realismo, coinvolgendo chi desidera, chi può e chi deve per non lasciarci e lasciarli dolorosamente soli.
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.23, 1979