In autobus
Ho incontrato L. in autobus. Rientravamo entrambi dal lavoro. È stato lui a chiamarmi e salutarmi. Io ero “troppo stanca” per “vedere” le persone intorno a me. Ci siamo detti ciao ed abbiamo cominciato a parlare di cosa avevamo fatto durante l’estate: un dialogo come tanti, tra amici, nel tempo di poche fermate di autobus.
Ma un dialogo diverso dagli altri, un dialogo che ha avuto il potere di catalizzare su di noi gli sguardi di tutti, perché “diverso”. Agli occhi del mondo, uno dei due interlocutori e la sua voce, il suo vocabolario, tradivano quel che il suo aspetto fisico non rivelava.
M.
Come rispondere?
Parlare della mia amicizia con alcuni ragazzi è molto difficile, perché non riesco ad essere chiara neanche con me stessa.
Stare con loro qualche ora, scherzare, giocare, ridere, tutto è molto bello, ma il difficile viene nel momento in cui ci si rende conto che lo stare insieme non significa solo ciò, ma vuol dire anche affrontare fatti e realtà di tutti giorni, cercare di rispondere a domande precise, che non si possono eludere ed alle quali si deve cercare di essere semplicemente chiari.
Quando si parla per esempio di rapporti più approfonditi con gli altri, di lavoro, fidanzamenti, matrimoni…, in quel momento mi sento tanta disarmata e dentro di me mi ribello, e vorrei gridare tutta la mia rabbia e la mia ribellione, che non posso esternare ma che non accetto in nome di nessuno.
Alle domande che mi vengono fatte a volte non so come rispondere, spesso cerco di mettere in risalto maggiormente il discorso dell’amicizia, della vita nel senso collettivo però so che per alcuni non basta… In questi momenti mi sento molto disarmata e non riesco a continuare, perché mi rendo conto che non soddisfo né me né loro.
Un’amica
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.23, 1979