Da cuneo
Carissimi Mario e Betty,
con un po’ di ritardo rispondo alla vostra lettera, che, lo voglio dire subito, mi ha fatto un immenso piacere.
Voi mi dite GRAZIE per quello che ho dato e ho fatto; ma tutto ciò che ho dato o ho fatto non è nulla in confronto a quello che il Signore mi ha dato attraverso voi e attraverso tutto il gruppo.
Sono cambiate molte cose dopo il campeggio, in me: innanzi tutto vedo il gruppo sotto un altro punto di vista: ora non è più il “gruppo” ma sono gli amici con cui mi trovo il sabato. Ora Paola, Stefano, Maria-Rosa, Patrizio non sono i bambini che dovevo guardare, ma sono gli amici con cui scherzare, giocare, o parlare seriamente.
Questo per me, vuol dire molto, perché ho sempre avuto pochi amici in vita mia.
Quando sono entrata a Fede e Luce, poi, ero molto esaltata: vedevo tutto rose e fiori e cose del genere; in campeggio, mi sono accorta che ciascuno di noi ha i propri difetti e pregi, e lo stesso movimento ha difetti e difficoltà. Per questa ragione ora apprezzo finalmente quale è il gruppo, e per la prima volta dal novembre scorso, mi sento una vera componente del gruppo.
Quando sono tornata dal campeggio mi sarei messa a piangere: dicevo al Signore che non era giusto e che non volevo tornare alla mia vita di ogni giorno. Poco a poco però ho capito quello che voleva dirmi: dovevo portare il messaggio di Fede e Luce nella mia vita di ogni giorno.
Ecco è finito il mio discorso serio e concludo la mia lettera con un grosso saluto alla vostra “matta” famiglia. Ciao.
Pierpaola (Cuneo)
Ciao Pierpaola,
sono passati alcuni giorni dalla nostra seconda esperienza di campeggio di gruppo, e vorrei dire come sono stati per me questi giorni di vita comunitaria.
Innanzi tutto credo di dover descrivere il posto e come è stato trovato. Mi spiego meglio: per chi non lo sa ancora il gruppo di Cuneo ha una “casetta” tutta sua. Infatti dal mese di maggio possiamo contare su dei locali come se fossero nostri, e “nostri” significa di Fede e Luce e non solo del gruppo di Cuneo.
La Casetta consiste in 12 camere quasi tutte di 7m x 6, disposte 4 al piano terra, 4 al 1° piano e 4 al 2° piano, più numerosi servizi. Si tratta di un ex convitto femminile di proprietà della parrocchia di Demonte, paesino a 24 km da Cuneo.
Per noi che l’abbiamo collaudata con il campeggio è semplicemente meravigliosa.
Come l’abbiamo trovata? La risposta, credo, debba essere questa: ce l’ha mandata la Provvidenza! Come già per altre cose credo che non si possa più parlare di combinazioni, perché ormai sarebbero troppe; credo, invece, sia il frutto di tutta una maturazione del gruppo che poco a poco impara a fidarsi di Dio, lasciandolo agire tra noi. “Cercate prima le cose del Padre mio e tutto il resto vi verrà dato in soprappiù.”
Ora oltre all’affitto dovremo pensare a renderla il più accogliente possibile. Molti vi hanno già lavorato per renderla abitabile, ma molto resta ancora da fare.
Veniamo ora al campeggio: dal 5 al 19 agosto 4 famiglie, parecchi giovani amici e alcuni ragazzi (circa 24-27 persone con punte di 45-48 durante i fine settimana) hanno vissuto insieme l’esperienza del campeggio, collaborando tutti (genitori, ragazzi, amici) ai lavori necessari. Sono stati stabiliti dei turni, ogni giorno 3 persone erano in cucina ed altre 3 si occupavano del riordino delle stoviglie. Per i ragazzi era una spasso vedere i papà affaccendati con i grembiuli davanti. Così tutti hanno avuto modo di lavorare e di riposarsi.
Grazie all’aiuto di molti giovani si sono potute svolgere numerose attività mettendoci molto in contatto con la gente del posto (funzioni della domenica, festicciole dei dintorni, visita alla stalla sociale, ripetute visite ai giardini pubblici e al campo sportivo…) tant’è vero che per un solo giorno che non abbiamo cantato attraverso il paese, ci è stato chiesto se qualcuno di noi stava male.
Due pomeriggi sono trascorsi pescando le trote per il pranzo del giorno dopo. Anche il bambino più piccolo, Daniele di 3 anni, si è pescato la sua trota, e sprizzava gioia da tutti i pori.
Una volta siamo partiti all’alba, o quasi, per raggiungere il santuario più alto d’Europa a S.Anna di Vinadio, dove abbiamo pregato per tutti gli amici del mondo. Un’altra splendida gita è stata quella alla Madonna del Pino, una minuscola chiesetta tutta bianca sul cocuzzolo di una montagnola.
Quando non eravamo a passeggio eravamo intenti a lavorare, disegnare, giocare nel cortile o nella sala-giochi.
Il clima di tutto il campeggio è sempre stato gioioso e se sorgeva qualche difficoltà veniva subito chiarita e questo ha contribuito molto alla buona riuscita del nostro vivere insieme.
Al momento del distacco è giunta la proposta di prolungare il soggiorno, ma purtroppo non è stato possibile. Ma la carica ricevuta in quei giorni ci ha già lanciato in una serie di attività.
È già in programma una castagnata e molte altre cose ancora. Vi terremo informati e se qualcuno vuole venire alla Casetta sappiate che la porta è sempre aperta…
Ciao a tutti.
Mario
Da milano
Quando si tratta di trascorrere 15 giorni in comunità con 30-40 persone, sapendo già che si condivideranno molti momenti della giornata, ci si spaventa un po’. Uscire dall’isolamento milanese per ritrovarsi di colpo in mezzo a tante persone, da una parte fa dire: “finalmente”, dall’altra significa cambiare le proprie abitudini di casa, adattarsi e abituarsi a stare continuamente in compagnia, a mangiare certe cose, a dormire in un altro letto, e soprattutto a stare attenti alle esigenze proprie e degli altri.
Certamente ognuno si aspettava qualcosa di diverso dal campeggio, prima di partire, e ognuno poi si è ritrovato più o meno appagato nelle aspettative.
Alcuni venivano da una condizione di grande isolamento, e per questi il campeggio ha avuto una grande importanza per il contatto con le persone; altri venivano da una vita fatta da mille attività e impegni; altri entravano per la prima volta nel gruppo; altri, veterani, partivano senza grande senso della novità.
Sicuramente nessuno di noi è partito senza sapere che avrebbe messo alla prova se stesso: il continuo confronto con le persone stimola inevitabilmente, fa capire come siamo fatti noi e gli altri, misura il grado di disponibilità. A me poi è risultato lampante come veramente i ragazzi riescono a creare un’atmosfera di serenità e a riunire attorno a sé le persone più diverse per età, idee, intenzioni: persone che altrimenti, probabilmente, non starebbero insieme.
Trovo che il fatto che siamo diversi prima di tutto venga rispettato, poi permetta di mantenere quella certa libertà di movimento per cui si respira aria fresca, non da organizzazione. Non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di un gruppo di comuni mortali, nel quale si verificano tutte le normali cose di ogni giorno, nel quale si sbaglia, ci si arrabbia, ci si stufa, ma, insomma, l’idea iniziale e le intenzioni son quelle che contano.
Ogni gruppo ha la propria fisionomia e impara a vivere con la pratica: siamo stati d’accordo nel dire che la “gestione familiare” delle vacanze è per noi la forma migliore di convivenza, per vari motivi: lavorando insieme per pulire e far da mangiare ci si conosce meglio; ognuno, e nessun altro, è responsabile del proprio compito; inoltre, per alcuni ragazzi, il lavoro domestico è una vera e propria ginnastica.
Facendo le somme, si può dire che anche la fortuna ci ha dato una mano: la casa era molto bella, spaziosa, c’era molto verde e il lago era lì, sotto il muretto di cinta, il tempo è stato buono, i nostri vicini dell’A.N.F.A.S.S. gentili e simpatici.
Be’, cosa vuoi di più!?!
Ancora un applauso ai cuochi che tanto ci hanno sollazzato!
Marina
Da roma…
Ad Alfedena sono stata meravigliata ed entusiasta nello scoprire ed approfondire le meraviglie di bontà e di dono di se stessi che hanno i giovani ed i nostri ragazzi. Ho vissuto cose che non mi aspettavo e ho imparato che le persone dalle quali ci si aspetta nulla, danno, hanno, danno, e ancora danno…..
Rita Cortese
…Non so perché quando penso ad Alfedena la prima immagine che mi viene in mente è il momento dell’Eucarestia quando siamo tutti radunati in cerchio in giardino e Vito ci distribuisce – a tutti – il Corpo di Cristo. Ogni volta ne ero meravigliata. Dio ci ama tutti nello stesso modo. E’ Formidabile!
Jeanne Debergé
E’ la prima volta che partecipo al campeggio organizzato da “Fede e Luce”. Anche se per me campeggiare non è una novità, poiché sono un militare di carriera e di campi ne svolgo diversi durante l’anno, sono rimasto fortemente colpito da questa nuova e bella esperienza. Quello stare insieme, il modo di giocare, di lavorare, di pregare, di cantare, di vivere accanto a tutti questi sinceri, cordiali amici così pieni di tenera felicità simpatia e amore fraterno, mi ha fatto realmente sentire la presenza di Dio.
Nicola C.
Mi chiamo Massimiliano, sono il cugino di Pablo, un bambino handicappato, grazie a lui ho potuto conoscere tutti voi di Fede e Luce.
Per la prima volta quest’anno ho partecipato al campeggio; nei primi giorni mi sentivo un po’ a disagio perché essendo nuovo, non conoscevo ancora nessuno, poi in seguito ho cominciato a fare amicizia ed allora questo grande gruppo è diventato per me come una famiglia.
Tra le cose più belle svolte nella giornata mi hanno colpito in particolare le messe le quali venivano organizzate da noi ragazzi e predicate da un simpatico prete.
Sono state divertenti le veglie, fatte di giochi, canzoni, piccole commedie ed altri divertimenti.
Ma la cosa più bella di questo campeggio è proprio nello stare insieme a questi ragazzi handicappati e vivere con loro giorno per giorno.
Comunque devo dire che per me è stata un’esperienza molto positiva, spero di riviverla più coscientemente, e con sempre maggiore entusiasmo, nell’anno che inizia.
Massimiliano Batani (15 anni)
E’ sempre abbastanza difficile scrivere qualcosa su ciò che si è appena vissuto, ma mi sono resa conto, tornando a Roma che avevo molta voglia di comunicare agli altri la mia esperienza.
Questo campo è stato molto diverso da quelli precedenti, abbiamo fatto moltissime passeggiate, non abbiamo giocato molto, e invece siamo stati a chiacchierare tra noi, credo che questo sia utilissimo per capirci un po’ di più e sapere cosa pensiamo.
Per me non è stato molto facile andare al campo, mi sembrava di non conoscere i ragazzi e di conoscere pochissimo gli amici, ma al mio arrivo è bastato guardare in faccia tutti e salutarli per sentirmi perfettamente nel gruppo. E’stato strano “sentirsi nel gruppo” subito, vedere che i problemi, i dispiaceri, le arrabbiature, i sorrisi non erano solo miei ma di Paolo, di Gianni, di Robert e degli altri, che partecipavano tutti, ognuno come sa a qualunque evento.
E per questo un acquazzone incredibile è diventato un’avventura di cui abbiamo parlato raccontandoci le nostre reazioni e ridendone insieme, facendolo diventare un’esperienza comune indubbiamente positiva. L’acquazzone è stato solo un episodio, ce ne sono tanti altri. Vorrei riassumere tutto in una mia grande speranza: la possibilità di vivere con gli altri realizzando qualcosa di sereno per tutti. Perché questo è stato il campo di Carpineto.
M.Teresa Donati
La prima cosa che mi viene in mente, è che, forse perché eravamo in pochi, abbiamo raggiunto fra noi, un affiatamento a cui, ad esempio, non ero arrivato lo scorso anno con gli altri di Alfedena.
Ahh!! Un’altra cosa importantissima, la non ferrea organizzazione della giornata di campo, ci ha permesso di adattare meglio le attività alle esigenze del momento, ciò, nel contempo facendoci sentire molto più liberi e a nostro agio (almeno a me).
Ricordo che, verso la fine del campo, parlando con M.Teresa, si notava che qui, cioè li a Carpineto, molti “luoghi comuni” tipo il “volersi bene ed essere sempre felici” anche nei momenti in cui non lo si è affatto, non esistevano. Ciao
Claudio Carta
Stasera ho guardato le mie mani perché erano molto stanche… Stanche di reggere tanti grappoli d’amore che mi avete donato voi tutti amici handicappati nei campeggi di Alfedena e Carpineto Romano: stasera avrei voluto sedermi tra di voi, prendere le vostre mani una per una e continuare quel colloquio anima con anima come abbiamo fatto nei campeggi.
E tu Vincenzo, o Sabina, o Noris, o Angelo avreste certamente parlato come allora alla mia anima stupita di ascoltare il vostro dialogo. Vincenzo, ti ricordi quando cercavo di darti da mangiare? Ad ogni cucchiaio che io tentavo di avvicinare alla tua bocca il tuo viso si illuminava in un enorme sorriso, gli occhi mi guardavano un po’ sornioni ed io rimanevo come un “baccalà” con il cucchiaio sospeso per aria e tu ti divertivi sempre più e sembravi dirmi: “lo vedi che te l’ho fatta!… Ci scommetto che non saprai infilarmi nemmeno il prossimo!”.
Sapevi sempre farmi ridere. E quando ti piacevano quei canti gioiosi della Messa, quei canti che mi “dicevo” in parole e tu giocavi con l’anima, saltando sulla carrozzella (e dove saresti arrivato senza freno!) e pareva che invitassi tutti a cantare con più gioia.E tu, Noris, dolcissima “reginetta” del campo di Alfedena, con quegli occhi meravigliosi di cerbiatta ferita, che sapevano anche amare o essere seri, luminosissimi quando ridevi; mi dicevano tante cose i tuoi occhi, sembrava mi volessero dare sicurezza.
Tu, Angelo, il piccolo Cristo più sofferente, che con il tuo dolce sguardo sembravi volerci rassicurare sulla tua salute, con una serenità e tranquillità incredibili, come se tu sapessi ed accettassi che… “sarà sempre qualcuno che paga per tutti!”, mentre noi ci sentivamo strappare l’anima nel vederti a letto, sia pure per poco, proprio tu, il più piccolo ed il più debole.
Ecco, due campi diversi, uno con ragazzi che sembrano debolissimi, ma hanno giocato con la mia anima con l’arma del sorriso e sono più forti di me, più generosi, più amici; in una presenza continua di Dio che non è ricerca ma è ascolto. E nel terzo campo, a Carpineto Romano, ho trovate voi grandi, assettati d’amore, pieni di tenerezza infinita, desiderosi solo di amare, amare con tutte le vostre forze.
Tu, Giorgio, eterno canterino pieno di gioia, che urlavi il mio nome tutto il giorno da un capo all’altro delle scale, come se fosse una nuova canzone.Tu, Emanuele, con la tua sete di amore, più sete perché più adulto, più consapevole e più triste proprio perché più solo.
O tu, Paolo, “l’orso” Paolo che si aggrappa al registratore in silenzio e poi parla e parla a lungo quando ha paura del temporale ed è un “orso” stranamente affettuoso, stranamente amico, che scopre un anima sensibilissima in un guscio di indifferenza.
Non è facile parlare di due campi, delle differenze, i pregi, gli eventuali difetti, e soprattutto di tante cose dei fratelli handicappati, dei cari amici, di tutta l’atmosfera della Comunità: sono due mondi diversi, totalmente diversi, di cui non è facile parlare proprio perché non è cronaca, è vita vissuta anima con anima, amico con amico, attimo per attimo, in un lungo colloquio fatto di sorrisi, di sfumature, di sguardi, di preghiere con le labbra e con il cuore.
Anna De Gregorio
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.23, 1979