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Questo articolo è stato scritto molti anni fa. Nella lettura potresti incontrare termini ormai desueti o sgradevoli per la sensibilità attuale. Abbiamo scelto di mantenerli per non tradire il contesto in cui sono stati scritti.
Prima di visitare questa scuola e i bambini che la frequentano, vorremmo parlare un po’, senza nessuna pretesa scientifica, della parola “spastico” che si sente spesso ma che il più delle volte è usata in senso inesatto.
Notiamo che i belgi non parlano di un centro per “spastici” ma di un centro per infermi motori cerebrali. Gli anglosassoni dicono “cerebrolesi”, termine ancora più ampio per indicare tutti i bambini che hanno disordini vari 1 Ovviamente i disordini del movimento, cioè la “spasticità”, sono i più evidenti dovuti a una lesione al cervello prima della nascita, al momento della nascita o durante i primi mesi di vita. Le cause sono dunque molto varie e spesso ancora sconosciute.
Ma ritorniamo alla parola “spastico”; nel senso stretto del termine indica una rigidità muscolare. I muscoli non obbediscono agli ordini che vengono loro trasmessi o lo fanno in modo più o meno disordinato, dunque compiono gesti molto imprecisi. Al limite, quando la “spasticità” è grave, i movimenti sono impossibili.
La “spasticità” non è una malattia, è una delle forme, spesso la più evidente, di una lesione al cervello. Le altre forme possono interessare la vista, l’udito o le capacità intellettive. Ma la parola “spastico”, da sola, non indica in alcun caso un handicap mentale.
Vi sono dei bambini o degli adulti spastici che hanno un livello d’intelligenza normale e, a volte, anche superiore al normale.
È anche vero che in molti casi, oltre al controllo dei movimenti la malattia ha colpito le facoltà intellettive. Ma bisogna assolutamente evitare di equiparare l’uno all’altro e arrivare rapidamente alla conclusione che un bambino, il quale presenta dei movimenti “inadatti”, e per noi a priori bizzarri, non capisca. Questi gesti incoerenti li compie suo malgrado. Non bisogna che essi mascherino, ai nostri occhi e agli occhi di chiunque altro, le reali possibilità, i desideri, il cuore di quelli che chiamiamo spastici.
In questo spirito ritorniamo a Bruxelles al C.B.I.M.C. diretto dal dottor Yasse.
Diretto, è la parola giusta? in ogni caso è insufficiente. Bisognerebbe anche dire animato e amato dal Dottor Yasse.
L’estate scorsa Maria Laura è andata a giocare con i bambini di questa scuola diversi dagli altri. Spesso ha visto il dottore, non nel suo ufficio ma in tutti i luoghi dove sono i bambini. Là dove studiano, dove giocano, il dottore passa, viene, i bambini lo abbracciano. La sua presenza è naturale, affettuosa e giornaliera. E naturalmente una tale presenza da parte del medico direttore imposta i rapporti tra insegnanti e educatori, terapiste e bambini. L’atmosfera è gaia e calorosa.
Ma l’altro aspetto che ha colpito Maria Laura è stato la competenza del personale e l’attrezzatura di ogni genere.
La scuola conta 35 bambini divisi in cinque classi: sette bambini per classe. C’è anche una bambina di 12 anni che ogni giorno prende lezioni particolari; Maria Laura pensa che sia per ragioni pedagogiche.
I gradi di handicap fisico sono vari; alcuni sono ritardati mentalmente ma sembra che tutti possano seguire un programma scolastico adattato.
L’attrezzatura dei locali ha un ruolo importante nella correzione e nella prevenzione delle cattive posizioni, In ogni aula vi sono apparecchi speciali dove alcuni studiano seduti, altri in piedi. Ci sono anche delle ore di ginnastica speciale, di Kinesiterapia, di ortofonia, di ergoterapia.
La giornata si svolge come una normale giornata di scuola in Belgio, dalle 9 del mattino alle 4.30 del pomeriggio, con pranzo sul posto seguito da una lunga ricreazione. Durante questa ricreazione Maria Laura ha potuto stare ogni giorno con i bambini, aiutando altre due volontarie studenti di una scuola vicina.
Tutti giocano al pallone o ad altri giochi tranquilli. Tutte le classi sono insieme; quelli che sono fisicamente più agili spingono le carrozzelle, la partecipazione e l’aiuto reciproco sono spontanei ed evidenti.
I bambini del quartiere vengono per giocare insieme. Non c’è da meravigliarsi; la porta è “materialmente” sempre aperta, eccetto la notte.
Così, anche se il centro è molto specializzato non si può parlare di ghetto.
I contatti con l’esterno sono vari e il programma di ciascuno è pensato in vista dell’uscita del centro e del suo inserimento nella vita. Sono prese tutte le occasioni per andare fuori dal centro e far vivere il più possibile ai ragazzi la vita di tutti. Così ad esempio, per il nuoto vanno in una piscina vicina nelle stesse ore dei bambini del quartiere e il dottore non solo è presente ma scende in acqua con loro. Alcuni praticano equitazione in un club del quartiere. Gli esercizi di marcia non si fanno nel cortile della scuola ma per la strada. Le maestre e i terapisti colgono tutte le occasioni per mandare i bambini che possono fare commissioni nel quartiere. Così imparano a dirigersi da soli per le strade, ad attraversare (cosa che per alcuni può essere un vero esercizio di coraggio), ad esprimersi nei negozi, cosa non facile per tanti spastici che hanno difficoltà di linguaggio. Inoltre, verso l’età di 10, 12 anni vanno a lavorare nel quartiere uno o due pomeriggi la settimana: drogherie, garages; biblioteche, anche banche li accolgono.
Tutto questo dimostra chiaramente la preoccupazione di preparare i bambini a vivere fuori del centro nel presente e per il futuro.
D’altra parte, appena un bambino può, lascia il centro per completare il ciclo scolastico in una scuola del quartiere. Altrimenti, al termine della scuola d’obbligo, il centro cerca con lui e per lui un centro di apprendistato o un posto di lavoro.
Alcuni continuano gli studi.
Il caso di ciascuno è considerato in modo particolare e il suo avvenire previsto e preparato nel miglior modo possibile.
Il programma è costantemente revisionato e adattato secondo l’evoluzione di ciascuno. L’équipe si riunisce ogni settimana allo scopo di una costante messa a punto.
Quello che più di tutto ha colpito Maria Laura è stata l’atmosfera calorosa, l’attrezzatura e questa costante preoccupazione di una integrazione attuale e futura: una educazione basata sulla fraternità e la competenza.
È quello che tutti noi ci auguriamo per i nostri figli, qualunque siano le loro capacità.
Nicole Schulthes, 1977
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.12, 1977