Durante le due settimane del corso numerosi e vari argomenti sono stati trattati riguardanti i problemi e i metodi di rieducazione degli handicappati sensoriali, le turbe del comportamento, lo sviluppo normale del bambino, il linguaggio, ecc…
Alcuni di questi temi potranno essere trattati in dettaglio nei prossimi numeri di Insieme. Tuttavia la qualità professionale di questo corso, l’orientamento educativo generale e la dimensione umana offerti dall’équipe inglese giustificano questo primo scorcio generale del corso stesso sul tema della socializzazione.
Perché la socializzazione?
Perché lo sviluppo della socializzazione è stato uno dei 5 capitoli del programma educativo proposto dai nostri amici inglesi per i bambini gravemente handicappati 2Gli altri capitoli erano: sviluppo della mobilità grossolana e della mobilità fine, attività della vita quotidiana, linguaggio e comunicazione .
Ma anche perché, definita come la “capacità di stabilire dei rapporti con le persone che ci circondano”, la socializzazione è più di un semplice capitolo educativo; essa è veramente una qualità essenziale alla specie umana.
Essa non è dunque un metodo ma uno degli scopi essenziali di ogni educazione o rieducazione e riguarda non solamente il bambino ma la vit adulta, una vita adulta più normale possibile.
Per fare ciò si cerca di dare progressivamente al bambino un bagaglio di competenze fisiche, intellettuali e sociali, che gli offriranno il massimo di indipendenza e di partecipazione. In questo senso va ripensata l’educazione speciale, non come un’antitesi alla socializzazione, ma come un mezzo, a volte indispensabile, almeno temporaneamente, per una possibile socializzazione.
Gli esempi abbondano: un bambino sordo non può imparare a parlare per semplice imitazione come gli altri bambini. Metterlo semplicisticamente con gli altri non è un metodo educativo. Al contrario, insegnargli a parlare con tecniche speciali, apparecchi idonie ecc. è dagli i mezzi per poter partecipare alla vita di gruppo una volta fornito di quel mezzo prezioso che è il linguaggio. Lo stesso ragionamento si piò applicare alle altre forme di handicap fisiche, intellettive, emotive ecc.
L’analisi dello sviluppo della socializzazione
e i metodi del suo apprendimento ci hanno particolarmente interessati soprattutto per quanto riguarda i gravemente handicappati che ignorano o rifiutano le persone che li circondano:
- la possibilità di attenzione
- il contatto occhio a occhio
- i rapporti emotivi
- la capacità di esprimere (non verbalmente) una domanda
sono condizioni assolutamente necessarie e pregiudiziali alla sviluppo di una vita sociale così come allo sviluppo del linguaggio che è una funzione sociale per eccellenza.
L’educatore dunque deve in un primo momento ottenere queste reazioni di base. QUando queste si saranno verificate, dovrà insegnare al bambino a riconoscersi d’istinto dagli altri e dal mondo che lo circonda (self concept).
Questo si realizza a piccole tappe: il bambino reagisce quando lo si tocca, guarda i visi, segue con lo sguardo, accetta il contatto fisico, sorride quando gli si sorride, ecc.
Un’altra fase importante dello sviluppo della socializzazione è evidentemente la capacità di giocare con un adulto, con un bambino con parecchi bambini.
Ci ha colpito inoltre in questa analisi: l’importanza data alla routine nella vita del bambino: mangiare alla stessa tavola con lo stesso piatto, indossare lo stesso vestito per le stesse attività, ecc. Questo gli permette di capire ciò che gli succede intorno e, in seguito, di prevedere quello che accadrà (es: quando ci si mette il tovagliolo si va a mangiare).
Se arriva a capire ciò che succede, non è più totalmente e passivamente in balìa della volontà altrui.
La capacità di obbedire
La capacità di obbedire a semplici ordini, di aspettare il suo turno, di rimettere a posto certi oggetti sono altrettanti passi verso l’integrazione di un bambino nel gruppo e più tardi nella società.
Sempre restando nello sviluppo della socializzazione, l’equipe è stata d’accordo nell’insistere sull’importanza di far capire fin dall’inizio al bambino che esiste una disciplina, cioè che ci sono dei comportamenti accettabili ed altri non accettabili.
Questo sarà messo in evidenza soprattutto attraverso le ricompense piuttosto che con le punizioni.
E, ancora più importante per il bambino handicappato mentale che per gli altri bambini, è l’omogeneità dell’équipe educativa. Le persone che si occupano dell’educazione di un bambino possono e debbono anzi darsi il cambio nelle varie attività ma devono avere o presentare le stesse reazioni in situazioni similari.
Un altro aspetto del programma educativo che abbiamo capito come elemento di socializzazione riguarda tutte le attività della vita quotidiana (autosufficienza: spostarsi, nutrirsi, vestirsi, andare al bagno, ecc).
Insegnare ad un bambino a campiere da solo questi semplici gesti (ma quanto complicati per alcuni) della vita quotidiana equivale a renderlo più indipendente, quindi a dargli la sua dignità; piccola conquiste che offrono occasioni di successo personale così necessario ad ogni essere umano.
Queste attività esigono con i più gravi, tecniche lunghe, spesso semplici, a volte difficili, sulle quali potremo ritornare perché ci sembrano di grande importanza.
Infine non si può parlare di socializzazione senza abbordare il problema del linguaggio.
L’ortofonista inglese ha insistito in modo particolare sullo sviluppo di un linguaggio che sia veramente comunicazione.
Prima di stabilire un linguaggio parlato bisogna stabilire un rapporto domanda-risposta dal bambino all’adulto e dall’adulto al bambino (lo scambio del sorriso fra mamma e neonato uno di questi esempi).
Non è il caso di entrare nell’analisi assai difficile dello sviluppo del linguaggio. Ma ci sembra opportuno sottolineare l’importanza del contenuto del linguaggio, dell’utilizzazione di un linguaggio pratico e semplice al posto della ripetizione di numerosi vocaboli senza rapporto con la realtà. Per esempio, è più importante insegnare a dire “pipì” (o un’altra parola) per chiedere di andare al bagno che ripetere una serie di parole e farsela addosso.
Lo sviluppo della socializzazione, l’apprendimento del gioco, della disciplina, dell’indipendenza, della comunicazione non verbale, rappresentano già un programma educativo per molti bambini handicappati.
L’attuazione di esso esige delle conoscenze di base, delle tecniche particolare e una lunga pazienza ma inoltre – atteggiamento che è al cuore di ogni azione educativa, una doppia fiducia da parte dell’educatore: fiducia nel progresso del bambino e fiducia in se stesso.
Questa fiducia in se stesso non è orgoglio: essa si basa sulla competenza acquisita e sull’entusiasmo che abbiamo sentito profondo nell’équipe che è venuta ad offrirci con semplicità e franchezza i frutti della sua esperienza.
Un gruppo di amici e genitori, 1977
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.13, 1977