Penso che Milano sia stato per Fede e Luce un passo avanti, non solo per gli amici incontrati, ma anche perché abbiamo capito un po’ meglio quello che cerchiamo di vivere: vederci piu chiaro!
Anche se non è facile fare “un processo alla notte”, non è forse questo il solo mezzo per un cammino di crescita?
1. La nostra debolezza messa a nudo.
La situazione sociale di questi ultimi tempi ha messo in evidenza ancora una volta la realtà della nostra impotenza. I piccoli sono schiacciati dall’indifferenza dei grandi.
Abbiamo visto la violenza prendere il sopravvento sulla pace, la morte colpire sulla strada l’inerme e il combattente. Nessuno capisce né può spiegare questo cammino del mondo. E il mondo sperimenta l’impotenza davanti a questo male che nessuno sa cogliere.
Questa situazione generale la risentiamo forse con maggior forza noi che siamo toccati in modo particolare da un male senza ragione, dall’assurdo della morte senza poter trovare un senso alla nostra vita: tutto l’avvenire distrutto, tutti i progetti riposti in colui che aspettavamo, sfumati.
E la società, più preoccupata dalle lotte dei forti che dal silenzio dei deboli, ha deluso le nostre speranze nelle sue capacità di “accoglienza”.
2. Eppure la nostra debolezza si cambia in forza.
Questa incapacità di essere ascoltati è solo una parte della nostra debolezza. Difatti, al di là di questo grido inascoltato c’è nel più profondo di noi un sentimento che è l’espressione più viva della nostra debolezza: noi non possiamo avere quello che il mondo insegue. La nostro debolezza sta in questa ferita che ci impedisce di seguire gli uomini. Siano feriti e guardiamo la nostra ferita.
Ma se i piccoli non possono seguire i grandi, non è forse perché i bisogni e i desideri che i grandi inseguono hanno un sapore di falso? Sembra che, accanto ad alcune delle nostre vite, il denaro, la scienza, perdano di interesse. La grandezza dei grandi non rischia forse di essere un vuoto? Quella grandezza che trascina con sè la guerra e con essa il non-senso del male. Per questo il mondo, forte e violento, non potrà mai da solo trovare la via d’uscita. Solo la “piccolezza” è per tutti il cammino della pace.
La nostra debolezza può allora trasformarsi in forza? Avremmo forse noi il segreto della pace?
Un fatto avvenuto durante il nostro viaggio ce lo dimostra. Eravamo pochi al nostro arrivo a Milano. Tuttavia, nel momento stesso in cui festeggiavamo l’incontro nella gioia a pochi passi da noi la violenza uccideva un uomo. Questo fatto fu per me una luce: nel momento in cui la morte portava il suo frutto fra coloro che si credevano potenti, la vita compiva la sua opera fra coloro che si sapevano piccoli. Al di là della morte, la vita portava un suo messaggio di tenerezza e di amore.
3. Dove sta la nostra forza?
Gli occhi sbarrati, ipnotizzati, ho avuto paura, vedevo solo quello che poteva schiacciarmi. La paura mi paralizzava e non trovavo modo di uscirne.
Mi irritavo di fronte a quello “impersonale” che non potevo raggiungere. Rivolta nella quale esaurivo le mie ultime forze, salvo a decidermi per la fuga davanti alla sconfitta evidente di quella lotta ineguale.
Cadevo nella notte dell’impotenza, là dove la solitudine diviene amica e familiare e colui che voleva essere il compagno, diviene straniero se non addirittura nemico.
Bisognava osare gridare, non accettare più oltre e intentare un processo alla notte.
Non era normale che la solitudine fosse la sola compagna; non era normale che il frutto del mio seno non fosse che una apparenza d’uomo; non era normale che la violenza schiacciasse la pace.
Dov’è colui che può rispondermi? Il mio grido voleva una risposta. Accusare la notte era ancora credere che qualcuno potesse udire. Era l’ultimo appello all’Altro.
Come una terra arida ha sete di pioggia, così io avevo sete di incontro. Come il deserto alla minima rugiada dà vita a ciò che fino a quel momento era nascosto, così io ricevevo la capacità di lasciarmi sedurre dal più piccolo soffio di vita, di luce, d’amore.
Avevo lottato contro l’impersonale: la società, il male, la guerra, la violenza che non hanno volto, ho incontrato lo sguardo di chi portava quel peso. Tutto prendeva volto di uomo, tutto poteva allora crescere.
La notte resta la notte, però questa notte non è più priva di stelle. La stella, la nuova compagna, diventava speranza e certezza del giorno, pur restando colei con la quale potevo raddrizzare la lotta.
La mia stella sei tu (così come tanti altri) che ho incontrato un mattino di Pasqua.
Mi dicevi, dopo un’intera nottata di dolore: “la mia vita è troppo dura da portare, il giorno tarda troppo a venire”.
Fu allora che, durante questo primo dialogo in cui ci trovammo senza forza, scoprimmo la forza che mancava a tutti e due: quella di esserci incontrati. Insieme potevamo fare un passo… poi un altro…
Ci siamo lasciati sedurre l’uno dall’altro ed eccoci in cammino
4. Incontrare l’altro = ricevere il dono della vita presente
Al mattino, quando mi sveglio nel momento in cui credo aver tra le mani il bel coniglio bianco inseguito tutta la notte, mi accorgo con delusione che era solo… un sogno!
Quante volte, sognatore ad occhi aperti, inseguo false chimere che svaniscono nel nulla!
Accuso il passato per cercare di spiegare il presente.
Proietto nell’avvenire un ideale meraviglioso. Scorro, come l’acqua, senza mai incontrare il presente.
Ma chi mi permetterà di vivere al presente? Chi mi darà la forza di accogliere il dono della vita con tutte le sue ambiguità, le sue storture? Chi mi farà scoprire che al di là di ciò che è spezzato, c’è un dono da ricevere,
oggi?
Ma chi sei – tu – mio “oggi”?
- Questo cuore vibrante d’amore e quel cuore carico d’odio che non è che desiderio di essere amato
- Questi occhi pieni di gioia e quegli occhi che piangono di solitudine, che non sono che desiderio d’incontro
- Queste mani aperte a quelle dell’amico e quei pugni chiusi e quelle braccia senza mani che non sono che grido per averne
- Questa bocca che bacia e quella che bestemmia che non è che sete d’amore e quella che, condannata al silenzio non è che desiderio di parole
- Corpi pieni di vita e corpi inerti che non sono che grido alla vita
Tutto ciò che vive sotto apparenza di rottame, questo vogliamo accogliere e manifestare come un fiore di speranza che solamente un amore può e sa cogliere.
O mio “oggi”! Sento la tua voce, ma quanto lontana! Insegnami a lasciarmi sedurre!
5. Non basta accogliere, bisogna fa vivere
Sento già numerose proteste: “ho fatto tutto e nulla è cambiato! Ho percorso il mondo e ho l’impressione di essere stato ingannato. Tu non puoi capire. Lasciami in pace! Perchè camminare ancora?”.
Ogni mattina, ci svegliamo con le stesse pene. La realtà apparente non è cambiata in nulla: Lui sarà ancora lì per dirmi “prendimi sulle tue spalle!”, sempre così ferito, sempre con il suo linguaggio così ermetico, sempre così lontano… Nulla è cambiato!
E se guardassimo altrove? Là dove non guardiamo più! Là dove, dal momento che accettiamo il nostro “peso”, gli permettiamo di sorridere, di fare un passo, di dire una nuova parola dopo giorni e settimane di sforzi…
Là dove si incontrano i cuori.
Là dove si trova il luogo in cui si fortifica lo stelo d’erba così come la quercia gigante!
6. L’esperienza della speranza
Questo canto a quel soffio di vita non soffocata che ho voluto cantare con voi, so che non nasce spontaneo. Richiede, ogni mattino, un “sì”, da ridire, malgrado tutto!
Questo “sì”, è una risposta che ognuno di noi dà fin dal giorno in cui, con un grido, ha visto la luce.
Da quell’istante siamo sempre in dialogo, rispondiamo a un appello.
C’è forse Qualcuno che non cessa di chiamarci?
Questo Qualcuno verso il quale camminiamo, sperando contro ogni speranza nel giorno in cui la sua voce diviene silenzio ?
Questo Qualcuno, si chiama forse “Amore”?
O forse “Perdono”?
Tu, “Amore”, che non sei se non “per-dono”. Al di là del fracasso di tutte le mura che crollano… noi vorremmo udire il mormorio della linfa che fai salire lungo lo stelo del filo d’erba…!
Robert, 1977
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.14, 1977