È sciocco… è orgoglio… è sbagliato… lo so; farebbe bene alla bambina…lo so! So tante cose, pensate, rimuginate, sentite, sofferte. Devo portarla fuori, con gli altri, come gli altri, dove vado, in qualsiasi posto.
Si fa presto a dire.
Ma poi ti viene in mente quella tale che non capisce niente e che la guarda in quel modo… quell’altro che si gira… il bambino che si ferma incantato… la buona vecchiotta che scuote il capo con aria di pietà… il ragazzetto che fa finta di niente ma non riesce a continuare il discorso cominciato. E poi lei, che all’improvviso scoppia in una risata senza senso e che sembra non finire. E allora il fratellino ti guarda con aria interrogativa, per dirti: falla smettere!… Oppure si mette ad agitare le gambine qua e là, oppure urla forte…
Si fa presto a dire.
E allora si trovano scuse, si preferisce non uscire, non andare, non partecipare, rinunciare alla messa (almeno lì potremmo andare senza paura!)
E poi ti senti dire che il primo passo lo dobbiamo fare noi; che la gente capirà e si comporterà a seconda di come noi saremo capaci di uscire dal nostro impaccio, dalla nostra sofferenza, giusta, comprensibile, ma… tocca a noi.
Queste righe sono un riassunto strettissimo e molto limitato delle lotte che per anni, lunghe giornate, interminabili pomeriggi ho sostenuto e, credo, con me, migliaia di mamme e papà.
Per questo ho voluto scrivere queste cose. Per spiegare che adesso va molto meglio, perché sono riuscita piano piano a vincere questa battaglia che mi sembrava impossibile. Ero stanca di assistere al troppo rispetto che amici e famigliari portavano al nostro dolore.
Un giorno, in occasione di una festa di cuginetti, la mia bambina non fu invitata – com’era successo altre volte – per rispetto, per delicatezza.
Quel pomeriggio piansi come una disperata; mi sono sentita rare volte nella vita una reietta e “diversa” dagli altri come in quel giorno; e con me coinvolgevo tutta la mia famiglia: handicappata lei, handicappati noi.
Dopo quel lungo pianto, mi sono sentita svuotata di tutto, persa, sola. Ma alla sera, presi una decisione; mancava poco al compleanno di F. Avremmo fatto noi una grande festa per lei, invitando tutti, cuginetti e amici. Da quella bella festa, si può dire che tutto o gran parte del nostro atteggiamento è cambiato. Il mio cuore, stretto e duro, impietrito, si era aperto agli “altri” di cui avevo avuto tanta paura. E gli altri sono stati da allora i miei grandi, meravigliosi amici, i miei sostenitori: chi mi ha invitato a casa sua, chi ha insegnato ai suoi bambini a rispettare ed amare F. come una bimba normale, chi mi ha invitato a passare la villeggiatura in casa sua; e così una catena si è formata, ed io e mio marito, mano a mano, abbiamo preso coraggio, ma quel che più conta, ora abbiamo scoperto quanto amore, quanta amicizia ha suscitato F. intorno a sé e a tutti noi.
Per questo ho voluto raccontare queste cose, che sono sì un’esperienza personale ma che possono servire ad altri papà e mamme che ancora hanno tanta paura degli altri.
– Mariangela, 1974
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.2, 1974
Sommario
Fede e Luce di Enzo
La paura degli altri di M. Bertolini
Giovanissimi di redazione
Lettera ai giovani di Maria Grazia
Ci hanno scritto di Redazione
Cecilia: un'esperienza di Cecilia
Come fai a credere nella Madonna? di Ettore